venerdì 15 aprile 2011

Medioevo: che confusione! (continua)

IL MONACHESIMO (pp. 320 – 326)

Epicuro aveva un’idea di vita molto simile a quella che viene poi accolta dai monaci: “vivi nascosto” ovvero cerca di dominare le passioni, superale in modo tale che tu possa ricongiungerti con il tuo “io” più profondo e autentico e per raggiungere la vera conoscenza. Le prime esperienze monastiche risalgono proprio al III-IV secolo nel mondo orientale.

Quello che noi oggi chiamiamo come monachesimo è in sintesi la versione cristiana di esperienze di conoscenza di sé e interrogazione circa il senso del mondo.

Quali sono le caratteristiche del monachesimo?
In primo luogo uno stato di solitudine, ma non solo perché questa non può garantire il risultato. C’è anche il rischio di fallire e un modo per evitare il fallimento è quello di “isolarsi assieme ad altri”. Il monaco diventa contraddizione vivente perché proprio per avere garanzia dell’efficacia del proprio percorso spirituale individuale, deve associarsi, farsi garante dal controllo e dall’assistenza spirituale continua da parte di altri uomini come lui che si sorvegliano a vicenda.
Ecco che si intravede il senso della comunità con uno spazio apposito: si comincia con una comunità attorno a una persona e poi, col passare degli anni, si costruiscono le cinta che separano i luoghi teatro delle attività quotidiane dei monaci dal mondo esterno. Il muro di cinta è all’origine della parola claustrum:  il monaco dotato di esperienza e di carisma intorno al quale si riuniscono gli altri monaci è il padre, la guida spirituale, che coerentemente con il quadro culturale giudaico-ellenistico della religione cristiana viene definito da una parola ebraica, abba che sarà poi abate.

Il punto di riferimento per il monachesimo è sicuramente quello di Benedetto da Norcia. Il monachesimo benedettino viene fortemente adottato dall’episcopato franco (l’impero carolingio segna il trionfo dei Benedettini) tra i secoli VII e VIII replicando la cosiddetta Regola che mette in condizione di poter ripetere uniformemente esperienze fondamentali identiche ovunque .

Un esempio tipico è l’abbazia di Cluny che, nell’ambito della tradizione carolingia, costituisce forse l’esperimento monastico più avanzato fra i secoli X e XI. C’è una forte specializzazione nella pratica liturgica, solenne espressione della più alta sacralità e a sua volta promotrice di sacralità, secondo una progressione in senso verticale attraverso il canto corale. E’ proprio il canto a costituire la sophia di questi gruppi: la fusione con il divino avviene attraverso il canto e l’estasi che il canto corale e prolungato produce. Si badi bene, però, che si tratta di una pratica estetica e di estasi, ma non irrazionale. 

Vorrei precisare che anche seguendo questa corrente ascensionale verso il divino non ci sono certezze nel risultato. Lo stesso San Bernardo avverte i suoi monaci che non ci sono certezze, che neppure lo stile di vita, l’austerità, la disciplina, la severità cistercense possono garantire l’accesso alla salvezza; la volontà di Dio è profondissima e oscura e nessuno può immaginare di forzarla neppure con la manifestazione più grande e totale dell’amore nei Suoi confronti. Si può solo tentare di accostarsi, attraverso la meditazione e la piena consapevolezza dell’inanità delle cose del mondo e delle sue tentazioni, fra cui l’arte e la musica. Ecco il canto gregoriano: trasformato da manifestazione di giubilo in attestazione grave e severa della fragilità del mondo e del suo bisogno di Dio attraverso un percorso individuale (nonostante il sempiterno rigore della vita monastica) di estasi e di bellezza. C’è, infatti, una forte dimensione estetica che assieme a quella mistica rappresentano un po’ questo periodo sempre avendo come riferimento la ratio che è l’imprinting del monachesimo (e dunque pochissimo spazio all'improvvisazione).

Nel contempo, oltre agli ordini monastici, comincia a farsi sentire anche la riforma delle istituzioni ecclesiastiche che vorrebbe questi ordini tutti riorganizzati attorno alle certezze della centralità romana.
Come vengono, dunque, veicolati i saperi, attraverso le regole di Roma o quelle del monachesimo? In altre parole ci sono da un lato le regole interne delle istituzioni ecclesiastiche e dall’altra le regole degli ordini monastici: pian piano le politiche di Roma assumeranno il controllo diventando garanzia, controllo  ed esercizio. In questo modo a Roma si adotteranno i modelli cistercensi (ordine monastico di diritto pontificio), anche per gli ordini benedettini.


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