lunedì 18 aprile 2011

Medioevo: che confusione! (continua)

(questo post e il successivo, riprendono la mia lettura del libro delle pp. 432 – 472 del libro curato da Eco)

Nel IV canto dell’Inferno di Dante, l’incontro dell’autore con i poeti antichi della “bella scola” appare la rappresentazione del confronto fra la nuova cultura cristiana e l’eredità della letteratura classica. Si tratta di un processo di fusione complesso e contrastato che vede l’alternarsi di momenti di maggiore ricettività e momenti di forte resistenza.

IL PROCESSO E LE SUE CARATTERISTICHE
Questo processo di fusione è caratterizzato da diverse componenti.

Prima di tutto dalla trasmissione e dalla ricezione dei classici che avviene, per tutto l’alto medioevo, tramite il filtro della cultura cristiana. Da un atteggiamento di sospetto e critica verso gli autori classici, sempre comunque letti e amati, si passa a un recupero del patrimonio classico operato nel periodo carolingio (tra il IV e il V secolo ci sono ancora molti circoli aristocratici, varie scuole e alcuni scriptoria monastici) per giungere, nel momento di piena affermazione dell’identità cristiana, a una soluzione più distesa del rapporto con la cultura classica pagana.
Si tratta di una trasmissione difficoltosa perché pur avendo a disposizione vaste biblioteche non sempre le opere sopravvivono al tempo, soprattutto considerando che di alcune, quelle greche, è fondamentale sapere la lingua.
Si è testimoni, col passare del tempo, di interessanti accadimenti: da un lato, tutti i generi cristiani finiscono per svilupparsi sotto gli auspici della letteratura pagana, dall’altro lato l’uso che delle opere pagane fanno gli autori che si occupano di grammatica e retorica è sempre mediata dall’apporto dell’esegesi biblica.  
Assieme alla cultura si sta evolvendo anche la lingua e il latino medievale non è più identico a quello classico (nuovi glossari) che ancora una volta rivelano come la trasmissione dei dati non sia mai integrale: i classici giungono al lettore frammentati e decontestualizzati nei florilegi, nelle summe, nelle raccolte di esempi fino al caso estremo dei centoni, ecco perché la citazione non rappresenta immediatamente un elemento probante della frequentazione della fonte, bensì solo di un testo intermedio, anche se questo non pregiudica una certa originale vitalità del materiale classico usato nella letteratura d’invenzione.
Con Carlo Magno si ha una forte spinta propulsiva anche se forse è improprio utilizzare il termine “rinascita”. Sicuramente Aquisgrana è stata un centro molto importante la cui produzione manoscritta è stata elevata sia per quantità sia per qualità: i filologi carolingi hanno tradotto molti esemplari (Livio, Virgilio) sotto la guida di Alcuino.
La ricezione della letteratura classica, dunque, nell’Alto medioevo si è sviluppata secondo un processo di autoaffermazione della cultura cristiana. Il X secolo, dopo la riappropriazione della letteratura classica operata nel periodo carolingio, rappresenta un momento di riflessione su quel patrimonio culturale come mezzo per auto comprendersi, ma nell’XI secolo, di fronte alla progressiva laicizzazione del sapere che si sposta dai monasteri alle scuole episcopali, si assiste a una nuova chiusura della cultura monastica nei confronti della cultura classica.

In secondo luogo, l’importanza dello studio della grammatica, della retorica e della dialettica.
Assieme alla fase di recupero e di sistemazione, c’è anche una ripresa dei manuali di proto linguistica che vengono riformulati alla luce delle nuove esigenze di un pubblico non più di madrelingua latina e alle necessità di standardizzazione della comunicazione da parte delle istituzione religiose e politiche.  
Riprendere lo studio delle discipline che formano la linguistica è fondamentale ed inevitabile perché:
  1. l’insegnamento del linguaggio è spesso connesso al culto delle lettere classiche, ovvero quando si studia la grammatica, è inevitabile dover andare a studiare testi classici sulla grammatica;
  2. studiare la grammatica significa anche insegnare uno strumento che può essere utile grazie al potenziale di forza inventiva delle parole, delle riflessioni e delle argomentazioni.
La riforma linguistica e ortografica promossa da Carlo Magno è una delle operazioni più influenti perché standardizza uno strumento di comunicazione indispensabile per i collegamenti all’interno dell’impero creando, nello stesso tempo, un doppio movimento. Da un lato, avremo la lingua parlata, priva per alcuni secoli di grammatica propria e di una struttura scolastica e dall’altra il latino scritto, unico mezzo di comunicazione ufficiale internazionale ma privo di capacità di rinnovamento derivante dall’uso vivo e popolare.
Durante il periodo carolingio, insomma, non solo c’è una forte riscoperta dell’ortografia, delle regole grammaticali (tra cui l’analisi grammaticale vera e propria, ovvero quella dei sostativi, dei verbi e della classificazione per genere, numero, ecc.), ma anche della sintassi.
Grazie a un’intensa scolarizzazione e al recupero di modelli più tardo antichi che classici, grazie anche alla formazione di una nuova classe letterata di provenienza internazionale, nuove esigenze sociale e culturali favoriscono la produzione di una quantità importante di testi letterari, tra cui la poesia (oltre a indovinelli, biglietti da visita, le vite dei santi, gli itinerari geografici, l’epica comunitaria e istituzionale, gli epigrammi, i poemetti su erbe e giardini

In terzo luogo, l’enciclopedismo, soprattutto di Isidoro di Siviglia.
Esiste una vocazione a compendiare e fornire organicità a tutto il sapere in forma di artes è un tratto distintivo delle artes liberales. Riporto un concetto che a me è piaciuto molto (p. 469).

“Tutto il patrimonio culturale greco-romano scampato alla caduta dell’impero è disperso in una miriade di opere complesse e di difficile lettura per uomini capaci solo di rapportarsi a conoscenze e nozioni di tipo compendiario e semplificato. Da qui la necessità di recuperare e riordinare tutto il sapere antico […], per sottrarlo al fenomeno generalizzato di disgregazione della tradizione culturale, per risollevare l’organizzazione della scuola e soprattutto per venire incontro alle nuove esigenze della cristianità: facilitare la comprensione della Bibbia, preservare le verità teologiche dalla dispute sorte tra cattolici e ariani, trasmettere agli individui investiti di responsabilità politico-pastorali o dediti alla elaborazione di un nuovo sapere tutti gli elementi di cui si è arricchita la storia cristiana. […] Nel generale processo di ridistribuzione e riorganizzazione dei poteri politici le responsabilità legate alla preservazione e alla trasmissione del sapere vengono interamente delegate alle istituzioni ecclesiastiche e monastiche. La dimensione religiosa giunge così a permeare di sé anche la sfera culturale: lo sfondo teologico che guida il processo di trasmissione del sapere antico perseguito dai Patres diventa la ragione stessa del recupero sincretistico della cultura antica, portato avanti separatamente da intellettuali attivi in diverse regioni dell’ex Impero romano.”

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