martedì 12 aprile 2011

Il libro dell'Imitazione di Cristo

Andando a sfogliare un po’ di libri in Biblioteca, mi sono ritrovata nella mani il testo De Imitatione Christi.
Si tratta di un testo che è secondo solo alla Bibbia per diffusione: è in lingua latina e l’autore è sconosciuto (nonostante ci siano delle teorie per le quali l’autore potrebbe essere il monaco agostiniano Tommaso da Kempis o Jean Gerson o Giovanni Gersen).

Già dal titolo appare subito come la figura di Cristo possa essere un modello di riferimento a cui conformarsi per lasciarsi indietro l’uomo vecchio e rivestirsi del nuovo.
Il linguaggio utilizzato è semplice, privo di perifrasi e sottointesi, chiaro, netto, limpido, ricco di riferimenti alla Bibbia.

Riporto qui di seguito come elenco le parti essenziali.
L’IMITAZIONE DI CRISTO  E IL DISPREZZO VERSO LE VANITA’ DEL MONDO (le cose sensibili, le cose passionali e le cose del sapere)

“Chi segue me, non cammina nelle tenebre” (Giov., VIII, 12), coloro infatti vanno dietro ai loro sensi, macchiano la propria coscienza e perdono la grazia.

E’ preferibile un umile contadino che serve a Dio, piuttosto che un filosofo superbo che preferisce dimenticare se stesso piuttosto che le sue scienze. Infatti, chi conosce bene se stesso, è consapevole di valer poco (?) e non si compiace delle lodi degli uomini. E’ preferibile sapere poco e la carità per poter essere giudicato da Dio, piuttosto che sapere tante cose e non avere poi un buon giudizio.

Bisogna confessare la propria ignoranza, non essere superbi, amare di non essere conosciuto (?) e non essere tenuto in conto di nulla (?). Infatti, non sono le molte parole a saziare l’anima, ma la buona vita. Chi segue i sensi e le scienze (come le filosofie) antepone l’esser grandi all’essere umili, mentre è veramente grande chi è umile, caritatevole al punto tale da farsi piccolo dentro di sé, avere stima un nulla: chi rinuncia alla propria volontà per compiere quella di Dio. Molto spesso si pongono delle domande sulla stessa esistenza di Dio, invece sarebbe più giusto leggere umilmente, semplicemente e fedelmente, ascoltare in silenzio le parole dei Santi (cioè in pratica non porsi altre domande - ? -).

I sensi ingannano! Pur avendo gli occhi, non vediamo!
Dio soddisfa completamente la conoscenza e il desiderio.

Sarebbe consona, a questo punto, una vita monastica con abito e tonsura, con il cambiamento dei costumi e la completa mortificazione delle passioni. Fatti noi fummo per servire e non per comandare, per soffrire e faticare, non per stare in ozio o confabulare.

Bisogna dedicarsi totalmente a Dio al punto tale che a volte ci si può dimenticare di sfamarsi e assolutamente bisogna rinunciare a tutte le ricchezze. Materia di giusto dolore e di interna contrizione sono i peccati e i vizi, nei quali si resta avviluppati per contemplare le cose divine e celesti. Questo è quanto c’è da ripetersi “Nutriscimi, Signore, col pane delle lacrime e dissetami col pianto, in gran quantità” (Sal., LXXIX, 6).

I beni terreni non valgono a niente, sono incerti, gravosi perché non si posseggono mai senza preoccupazione e timore.

LA CONSOLAZIONE INTERIORE
La consolazione interiore nasce dall’ascolto del sussurrio divino che non presta attenzione al rumore del mondo, all’ascolto della verità, della vista delle cose interiori, del sapere penetrare le cose interiori attraverso l’esercizio di ogni giorno per cogliere i misteri divini.

La consolazione interiore arriva solo quando si è predisposti all’ascolto della parola del Signore, Verità eterna in modo tale che questo possa correggere l’agire umano. Chi segue Dio, otterrà in cambio cose ben più grandi ed eterne e i cuori umani resteranno nel torpore.

Non bisogna soffermarsi troppo sui desideri, sui sentimenti e istinti concepiti senza aver consultato il divino. Queste possono essere delle distrazioni e come tali ci si deve opporre virilmente, come se si usasse violenza.

Tutto questo perché Dio è la via giusta, quella della vita e della verità “Io sono la via che devi seguire”.
Al di là di questa non si può conoscere nulla, sarebbe una via senza fine. Se si seguirà tale via, allora l’uomo conoscerà la verità e, dunque, la libertà per raggiungere la vita eterna.

Si tratta di una via fatta di comandamenti, di credenze e di sofferenze perché bisogna portare la croce come Dio, poiché i soli servi della croce trovano la via della beatitudine e della vera luce.

Portare la croce però non vuol dire avere il permesso di conoscere i più alti misteri e segreti giudizi di Dio poiché questi appartengono solo a Dio. Generano solo nemici, litigi e alimentano la superbia non utile alla via caritatevole e umile dell’uomo. Bisogna rimanere piccoli (?), rimanere poveri e pellegrini per amor di Dio.

Perchè alla fine è gran cosa essere anche il più piccolo in cielo, dove tutti sono grandi, dove tutti sono uguali e sono figli di Dio. E' preferibile, dunque, essere povero per amor di Dio, piuttosto che povero di Dio: "Tu sei il mio desiderio, e quindi non posso far a meno di venir dietro di te, gemendo, gridando e supplicando...tu sei la mia speranza e la mia fiducia, tu il mio consolatore, tu il mio fedelissimo in tutto... Tu sei, dunque, ilfine di tutti i beni, il più elevato senso di vita, il più profondo di tutti i ragionamenti, e sperare in te sopra ogni cosa è il conforto più valido per i tuoi servi". 

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