Come si è precisato nel post precedente, c’è, almeno nell’arte, una riabilitazione della natura, un recupero dell’elemento terreno e soprattutto della figura umana che riacquista la sua dignità.
Si prenda in considerazione ad esempio la figura dell’artista Giotto e le sue opere pittoriche. Si parla, non a caso, di realismo che trova in San Francesco un oggetto estremamente interessante. Fu, infatti, San Francesco a rappresentare tale rivalutazione ottimistica di tutte le creature e, fra esse, quella dell’uomo. Questa cordialità del rapporto di Francesco con il mondo si riflette anche negli affreschi grotteschi.
In Giotto le figure umane acquistano peso e volume, sono innanzitutto dei corpi che vivono e si muovono in uno spazio reale: una verde campagna sotto un albero fronzuto. San Francesco di profilo – ed è una novità, dato che il santo è stato finora sempre rappresentato frontale e immobile nella sua sacralità -, curvo verso gli uccelli, stabilisce un rapporto concreto e diretto con la natura: anche gli uccelli sono vibranti di vita, saltellano, volano.
Il loro volo, la figura di tre quarti e lo stesso corpo di traverso del santo danno profondità a uno spazio in cui le persone sono saldamente inserite e hanno individualità ben definite. La scena è dominata da un Francesco visto più che come strumento di un miracolo divino, come un uomo che ha la capacità di interagire positivamente con gli altri uomini e con la natura.
Potremmo definirlo come realismo figurativo in cui luoghi e personaggi del passato o del presente non sono più rappresentazioni schematiche e convenzionali, ma presenta una certa “naturalità” o “umanità”.
Proprio rimanendo su Francesco, è bene ricordare alcuni elementi.
Francesco sosteneva che i membri della comunità, all’inizio tutti laici come lui, dovevano vivere del proprio lavoro senza possedere beni materiali. Era proibito anche il possesso di libri: la semplicità e l’ingenuità fanno parte dell’ideologia francescana che è caratterizzata da un forte antintellettualismo (probabilmente, istanza fortemente antiborghese). C’è comunque un recupero ottimistico della concretezza della vita e della dimensione terrena, valorizzata nei suoi aspetti più umili e quotidiani, e vissuta con uno spirito di letizia molto lontano dal cupo pessimismo delle contemporanee tendenze ereticali, ma sostanzialmente nuovo anche rispetto alla tradizione religiosa medievale.
Col passare del tempo, poi questo ordine mendicante divenne un vero e proprio ordine religioso riconosciuto dalla Chiesa e inquadrato all’interno dell’organizzazione ecclesiastica. Ciò non impedì una ricca letteratura, spontanea e di base, volta a recuperare le primitive istanze del francescanesimo. In particolare si ricorda un episodio molto interessante, quello delle nozze simboliche con povertà narrato in uno scritto molto antico che s’intitola Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate. In esso si racconta della ricerca di madonna Povertà da parte di Francesco, dei lamenti di costei che, dopo la morte di Cristo, suo primo marito, è rimasta sola e abbandonata da tutti e infine del suo nuovo matrimonio con il santo.
Mi interessa Francesco anche, e naturalmente, per il Cantico di frate sole, considerato il primo testo artistico della letteratura italiana scritto in volgare proprio per trovare la massima diffusione. La funzione ideologica della lauda è quella di opporsi al pessimismo apocalittico della tradizione millenarista, mostrando l’aspetto sereno del creato, della morte e del rapporto umano con Dio. Il linguaggio è rasserenato e gioioso, proteso a nominare gli elementi più semplici e comuni della esperienza materiale del mondo. L’intensità delle evocazioni trasmette il sentimento di una scoperta e lo sguardo segue la bellezza fisica e naturale della terra.
Naturalmente rimane come unico punto di riferimento Cristo: la sua vita assume per Francesco il carattere di un modello diretto, facendo di tutti i riferimenti al Vangelo un’interpretazione non metaforica, ma mimetica.
Ritornando al Cantico e alla Laudes creaturam, vi si presenta un mondo nuovo, riconciliato con l’uomo. In questa preghiera Francesco raccolse il nocciolo della propria religiosità: la fratellanza universale tra le creature e la loro dignità l’una a fianco all’altra per creare un mondo armonioso e affidabile, riscattato dal senso di peccato e di minaccia. Anche l’uomo trova in esso la sua serena collocazione, chiamato a una responsabilità più alta e tuttavia dotato della stessa dignità di tutte le altre creature.
Il Cantico, inoltre, è l’invito a dedicare la propria vita a Dio impegnandola al servizio delle creature sulla Terra: Dio è superiore all’uomo e Dio non può e non deve essere nominato e lodato se non nelle cose che egli ha creato.
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