domenica 3 aprile 2011

Enciclopedisti e Fondatori del medioevo latino

Vorrei approfondire alcuni dei punti che ho elencato nel post precedente.
Mi sono avvalsa della lettura del seguente libro La filosofia medievale, di Alessandro Ghisalberti, Giunti Editore, 2002 (pp. 32 – 56).

GLI ENCICLOPEDISTI e I FONDATORI DEL MEDIOEVO LATINO
Il termine enciclopedia è una parola a me molto cara e penso che possa essere un punto chiave della mia tesi. Si è visto come nei post legati al periodo greco e romano, molti furono i tentativi di creare delle enciclopedie o meglio elenchi che riportassero e che mantenessero nella memoria conoscenze legate specialmente al mondo animale e scientifico (la medicina, la chimica, ecc.).
Insomma, nel mondo antico il termine enciclopedia non ha ancora quel significato che oggi noi le attribuiamo.

Plutarco aveva coniato questo termine: enkyklos paideia (ἐγκύκλος παιδεία) che, letteralmente, significa nel cerchio del sapere, ovvero qualcosa che riesce a comprendere tutte le discipline, la totalità del sapere. Tuttavia, è soprattutto la motivazione per la quale si cominciava a raccogliere e collezionare questo materiale a fornire il primo significato di questo termine: l’ideale didattico, prima ancora che culturale, di mantenere e trasmettere un certo sapere. Questo si manifestava in un ciclo di studi strutturato e comprensivo di tutte le discipline per la formazione di un uomo colto.
Aritmetica, geometria, musica, astronomia (considerate propedeutiche, che costituivano il quadrivium), ma anche filosofia ovvero dialettica, grammatica e retorica (le arti liberali, il trivium).

Nell’Alto Medioevo troviamo Istituzioni delle lettere divine e umane di Flavio Cassiodoro (490 – 583), Etimologie e Origini di Isidoro di Siviglia (560 – 636), La natura delle cose di Beda il Venerabile (672 – 735).

Comune ai tre autori è lo sforzo di includere nelle loro sistemazioni dello scibile gli elementi storici e dottrinali provenienti dalla tradizione cristiana ormai radicata nella maggior parte delle popolazioni insediatesi sui territori dell’antico impero romano. Come si potrà vedere nei prossimi post e un po’ in tutto quello che riguarderà il Medioevo, c’è una doppia tendenza: da un lato si vorranno proporre le basi della tradizione cristiana, dall’altro si vorrà anche fare un tuffo nel passato, riprendere e recuperare quanto era stato detto dai maestri latini. Il caso di questi tre autori è proprio esemplare della prima tendenza: questi hanno contribuito all’abbandono della cultura latina del basso impero, che era meramente retorica e fine a se stessa, così come hanno consentito il superamento del programma educativo tracciato dall’aristocrazia barbarica, che si basava quasi esclusivamente sull’addestramento militare e sull’epica celebrativa degli eroi nazionali. Si badi bene che, molto spesso, capita che le tendenze siano sono solo per definizioni chiare e delimitate, poi nella realtà dei fatti le sfumature prendono il sopravvento.

Cassiodoro collaborò con i re ostrogoti, Odoacre e Teodorico, nell’amministrazione del potere. Al fine della vita si ritirò in un convento in Calabria promuovendo un monachesimo colto, dedito alla trascrizione e allo studio delle opere antiche e cristiane. Fra i suoi lavori spiccano le Istituzioni delle lettere divine e umane a carattere didattico ed enciclopedico. L’opera di Cassiodoro si suddivide in due libri: il primo rappresenta un commentario ai vari libri della Bibbia e presenta la storia della fede cristiana attraverso quella della Chiesa e dei teologi, il secondo si occupa delle arti del trivio e del quadrivio facendo riferimenti alla cultura pagana e alle norme che si riferiscono alla trascrizione esatta dei testi antichi.
Importante è anche il testo delle Variae, raccolta di lettere ufficiali che rappresentarono per secoli un modello retorico di eloquenza per le cancellerie (cioè per le lettere e gli altri atti ufficiali del potere politico). Esse racchiudono le regole del bello stile che condizioneranno l’educazione letteraria sino almeno al XIII secolo (quando l’epistolario di Pier delle Vigne ne costituì un nuovo modello).
Cassiodoro rappresenta uno dei padri fondatori del Medioevo latino e la figura principale che viene ritratta nelle sue opere è quella del monaco asceta e uomo giusto: l’ideale di vita ascetico, basato sulla castità e sul disprezzo del mondo, diventa il modello della vera vita cristiana e l’unica possibilità di perfezione. E’ questa cultura, in cui l’uomo è visto esclusivamente in funzione del suo destino celeste, a proporre una scala di valori che privilegia l’anima sul corpo, demonizza la donna, disprezza la realtà profana e sancisce la superiorità della vita contemplativa del monaco su tutte le altre forme di vita, anche dei chierici.

Cassiodoro afferma:

I cattivi hanno il volto scuro per quanto abbiano un corpo avvenente, sono mesti anche in mezzo all’allegria, subito dopo le loro azioni provano sentimento. Si lasciano abbandonare all’impeto del proprio piacere, ma, improvvisamente, piombano nella tristezza e frattanto gli occhi lasciano il trasparire il turbamento […]Il loro stesso odore sa di acre, a meno che non venga confuso con soavissimi profumi.

In questa espressione sintetica dell’antropologia medievale, si deve ricordare che la diretta controparte della figura del monaco è quella del giullare inteso come mimo, giocoliere, attore e cantante che intratteneva e divertiva il popolo nelle pubbliche piazze. Nella figura del giullare, la Chiesa vedeva il residuo di una cultura popolare ancora intrisa di paganesimo (ecco perché abbiamo a disposizione una tale iconografia su questa figura, rappresentato capovolto, simbolo del rovesciamento dell’ordine, del basso, della discesa nell’animalità).
Si ricorda come, però, l’attività del giullare sarà fondamentale: questo avrà un ruolo importante nel processo di fissazione e diffusione della tradizione epica lungo le vie dei pellegrini e anche nella recitazione di testi scritti raggiungendo un grande prestigio, che gli permette di esigere ricompense per la propria prestazione professionale.

Isidoro di Siviglia, assieme a Marziano Capella, fu una personalità molto importante. Scrivendo le Etymologiae, compose una vasta opera enciclopedica in cui lo studio etimologico serve a scoprire i significati nascosti e i rapporti simbolici che uniscono parole e cose: il simbolismo e l’analogismo nell’interpretazione della natura che dominano in tutto l’Alto Medioevo derivano in buona parte da lui. In un contesto in cui l’intera natura appare come un libro scritto da Dio e l’universo è un grande sistema di simboli da decifrare attraverso un procedimento analogico e intuitivo, la parola è la chiave che permette l’accesso al senso delle cose. Il loro significato si recupera risalendo alla loro origine ed essena per mezzo del nome, di qui il valore e la diffusione delle etimologie dove parole e cose si corrispondono.

Ora, ci sono ancora altre personalità importanti, tra cui Boezio, Dionigi Aeropagita, ma soprattutto San Tommaso. Questi verranno trattati con più calma successivamente. Vorrei a questo punto sottolineare un elemento importante.
Se Agostino, pur risolvendo la contraddizione fra religione cristiana e cultura classica a vantaggio del primo, riprendeva e continuava alcuni aspetti della tradizione antica, da parte opposta non manca chi, muovendo invece dei presupposti della cultura romana e greca, li avvicinava e li accordava a quelli della concezione cristiana, gettando così le basi di quel sincretismo culturale che caratterizza il Medioevo latino. Insomma, troviamo una conciliazione della cultura classica con quella del Cristianesimo, nonostante questa predomini.

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