giovedì 28 aprile 2011

Dal feudalesimo alla cortesia: la realizzazione di se stessi

Dopo il periodo della diffusione del poemetto agiografico, della narrazione epica (Cantar del mio Cid) e della musica/intrattenimento di corte con la figura del giullare, arriviamo al periodo del romanzo cavalleresco (La Chansons de geste).

Trovo interessante riportare alcuni passi, tratti dal testo Alcune osservazioni d’ordine storico sociologico sui rapporti fra canzoni di gesta e romanzo cortese di Kohler (pp. 147 – 151), utili a capire questa forma di letteratura.
Per Kohler il romanzo cortese, pur essendo contemporaneo alla narrazione epica, esprime un momento di differenziazione del pubblico (differenti classi sociali) e dello stile, rappresentando già un momento storicamente successivo. Inoltre, questi due forme di letteratura esprimerebbero una concezione nuova del mondo, in cui è venuto meno l’elemento collettivo e unificante dell’epica e domina  ormai l’individualismo.

Se vogliamo capire la differenza fra la canzone di gesta e il romanzo cortese nella prospettiva delle riflessioni svolte più sopra sui principi dell’epica, è opportuno prendere in considerazione anzitutto in che modo l’eroe e le sue azioni si presentano a noi. “Le imprese degli eroi arturiani – scrive Frappier nel suo libro su Chretien de Troyes – sono quasi sempre avventure individuali, staccate dall’impresa collettiva a cui partecipano gli eroi epici”.

Inoltre, come già precedentemente accennato, la tesi di Kohler è che i cavalieri poveri, perduta la possibilità – per ragioni storiche – di una ricompensa materiale (mediante l’assegnazione di un feudo) dei loro servizi, elaborarono una teoria che identificava nell’onore, di cui si consideravano detentori privilegiati, una condizione di prestigio e insieme un valore morale e imposero questa concezione anche agli esponenti della nobiltà più alta, vincolandoli in questo modo al rispetto di alcuni obblighi ideali e sociali (pp. 7 – 9). Ora questa teoria di Kohler non deve essere intesa nel senso che il contenuto della poesia dipenda meccanicamente dall’estrazione sociale dell’autore, ma sottolinea l’importanza preminente che un gruppo sociale ebbe nel far accettare una tematica e un gusto letterario, e giustifica con l’esistenza di interessi, aspirazioni, contrasti reali la varietà di posizioni che riscontra nell’ambito delle teorie cortesi.

Questo passaggio, da rapporto vassallatico a rapporto fondato sulla cortesia, contraddistingue il modello di vita cortese ed esalta il carattere personale della virtù, acquisita mediante l’educazione e l’esercizio e non è più garantita dalla nascita (Mimesis, Auerbach, pp. 147 – 148):

[…] “corteise”, una parola la cui storia lunga e importante fornisce l’interpretazione più completa degli ideali del ceto e dell’uomo cavalleresco in Europa. […] mirano tutti a un ideale personale e assoluto: assoluto tanto in rapporto alla perfezione ideale, quanto alla inutilità terreno-pratica.

Il “valore cortese” non è dato per natura e acquisito per nascita, ma è necessaria molta educazione per innestarla (termine usato da Auerbach) e l’esercizio continuo e volontario per affermarle.

Il mezzo della prova e dell’affermazione è l’ “avanture”, una forma particolare e strana dell’accadere, sviluppata dalla civiltà cortese. 

Questa avanture può essere così riassunta (p. 147):

[…] parte da cavallo senza nessun ordine o ufficio; egli va in cerca d’avventure, cioè di incontri pericolosi, per mettere alla prova se stesso […] L’ethos feudale non serve più ad alcuna funzione politica e in genere a nessuna realtà pratica; si è fatto assoluto. Non ha più altro scopo che realizzare se stesso. Con ciò subisce un cambiamento totale.

Auerbach e Kohler alla fine arrivano alla stessa conclusione. Riporto alcuni passi di Kohler, pp. 151 -  152.

Per gli eroi delle canzoni di gesta, i colpi della sorte restano altrettanti casi, incidenti che rientrano senza difficoltà nella figura generale del destino della nazione o della cristianità. L’ “avventura” del cavaliere cortese, invece, è l’evento che capita proprio a lui […] l’avventura suppone l’isolamento del cavaliere […] che ha per effetto di liberare tutta una comunità. […]
L’avventura è il mezzo per superare la contraddizione che si è creata fra l’ideale di vita e la vita reale. Il romanzo idealizza l’avventura e le conferisce con ciò un valore morale, la scinde dalla suo origine sociologica concreta, e la pone al centro di un mondo feudale immaginario nel quale la comunanza di interessi fra i differenti strati della nobiltà, che appartiene ormai al passato, sembra essere ancora realizzabile.

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