sabato 30 aprile 2011

Cristiano o Ciceroniano?

Riporto qui di seguito un brano che ho trovato sul web che mi ha molto interessato. 
E' di Girolamo e narra di un sogno che il fedele fece. Riporto il link di riferimento ==> http://www.rivistamissioniconsolata.it/cerca.php?azione=det&id=1099 (un link, un perchè). 

Troverete in grassetto quelle parti per me più significative.

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Ne è passato del tempo da allora!
Casa, padre e madre, sorella, parenti, e - questo m’era più difficile - l’abitudine a lauti pranzi: tutto avevo tagliato via per il regno dei cieli, e me n’ero andato a Gerusalemme a militare per Cristo. Ma dalla mia biblioteca, messa insieme a Roma con tanto amore e tanta fatica, proprio non avevo saputo staccarmi. 
Povero me! (miser ego!). Digiunavo e poi andavo a leggere Cicerone. Dopo molte notti trascorse vegliando, dopo aver magari versato fiumi di lacrime al ricordo dei peccati d’un tempo, prendevo in mano Plauto. Se talvolta, rientrando in me stesso, aprivo i libri dei profeti, il loro stile disadorno mi dava nausea. Era la mia cecità a impedirmi di vedere la luce, e m’illudevo che la colpa non fosse dei miei occhi, ma del sole! (non oculorum putabam culpam esse, sed solis). 

A mezza quaresima, una febbre acutissima mi penetra nelle ossa. Già mi preparano i funerali. Tutto il corpo è agghiacciato. Solo il povero cuore, tiepido appena, dà ancor qualche palpito, come se là si sia rifugiato l’ultimo soffio di vita. D’un tratto ho come un rapimento spirituale. Mi sento trascinato davanti al tribunale del Giudice e mi vengo a trovare tra un tale sfolgorio di luce che irradia da ogni parte, che io, sbattuto a terra, non oso levare in alto lo sguardo. 
Mi chiede chi sono. “Un cristiano!” rispondo. Ma il Giudice dal suo trono esclama: “Bugiardo! Sei ciceroniano tu, non cristiano”. Resto di colpo senza parole. Sotto le vergate (il Giudice aveva dato ordine di battermi) mi sento lacerare ancor più dal rimorso della coscienza, e dentro di me vado ripetendo: "Nell'Inferno, chi canterà le tue lodi?"

Da ultimo comincio a gridare, a lamentarmi, a dire: "Pietà di me, Signore! Pietà!". I gemiti risuonao tra il sibilo delle staffilate, quando finalmente gli astanti si buttano in ginocchio ai piedi del Giudice, lo supplicano di perdonare i trascorsi della mia vita giovanile e di darmi il tempo sufficiente per farne penitenza. Si sarebbe riservato un'ulteriore punizione, nel caso fossi ancora tornato a leggere autori pagani.
Io che, posto con le spalle al muro in una posizione così critica, ero disposto a promettere ancora di più, comincio a giurare, a dar la mia parola, invocando lui stesso a testimone: "Signore, se d'ora innanzi avrò ancora fra mani un'opera profano, o la leggerò, vorrà dire che t'ho rinnegato!".

Dopo simile giuramento vengo rimesso in libertà, ritornò sulla terra, e, fra lo stupore dei presenti, apro gli occhi così inzuppati di lacrime da convincere anche i più scettici della sincerità del mio dolore. 
Non è stato, quello, un sogno o una vana fantasia, come può succedere spesso. Ne fa fede il tribunale davanti al quale ero prostrato, mi è testimone quel Giudice così terribile. 
Voglia il cielo che non mi trovi mai più impigliato in un processo del genere! A lungo ho portato le lividure sulle spalle, e appena sveglio ho sentito il bruciore delle piaghe. Da quel giorno mi sono messo a leggere la scrittura con un ardore che mai ne avevo messo l’eguale nelle letture pagane».

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