I COMUNI E LE SIGNORIE
Per quanto riguarda la storia dei Comuni in Italia è di fondamentale importanza la figura di Federico I Barbarossa che, come si afferma nel libro che ho citato, non fu particolarmente diverso dai suoi predecessori, ma volle venire più spesso in Italia. In questo periodo si passa da una società feudale a una comunale: l’imperatore e re d’Italia acconsentì che i comuni della Lega Lombarda continuassero a riscuotere le imposte in cambio del giuramento in cui essi si riconoscevano vassalli collettivi del re.
Il comune sorgeva solitamente attorno a una o più famiglie aristocratiche e includeva la zona interne alle mura ed esterne ad esse (il contado).
La creazione del comune, forse, è anche da vedersi come un bisogno di Stato di tradizione romana per mantenere la vitalità del rapporto vassallatico – beneficiario di tradizione germanica.
Insomma, il regno, quello di Barbarossa, comincia a dover orientarsi a sovrintendere i modo attivo il sempre più complesso mosaico politico, riuscendo a includere anche le comunità urbane organiche. Dai comuni, poi, si passerà alle Signorie, ricche di apparati amministrativi e con sempre più poteri politici.
IL MEDIOEVO, ETA’ DI SPERIMENTAZIONI (pag. 40)
Le sperimentazioni sono da intendersi soprattutto a livello politico-sociale.
Con il secolo XI, si espandono sperimentazioni che possono essere definite come reciproche e imitative. Spesso sono processi di imitazione reciproca. I conti, per rendere ereditario il loro potere, imitano la concretezza del potere locale dei signori fondiari; ciò mentre i signori, nel costruire i loro ambiti egemonici, imitano il carattere ufficiale dei conti, la loro fiscalità, il loro esercizio della giustizia. I nuovi poteri laici imitano di fatto le immunità ufficialmente ricevute dagli enti religiosi. La chiesa vescovile di Roma imita la struttura gerarchica dell’impero (soprattutto quella degli Ottoni).
Infine, anche il comune medievale è un grande sperimentatore. Perché in alcuni aspetti di convivenza organizzata dagli abitanti imita le tradizioni delle comunità rurali. Perché nella sua progettazione politica incidono intellettuali che tengono vivo il ricordo della polis greca. Perchè si trasforma in organismo di potere collettivo le spontanee convergenze di clientele aristocratiche come le clientele vassallatiche dei vescovi. Perché fa funzionare la lottizzazione politica tra le famiglie cittadine più potenti. Perchè, nello sviluppo delle proprie istituzioni, inventa il primo politico professionale della storia europea, il podestà.
Il rapporto del comune con il proprio contado rimane sostanzialmente tradizionale: il comune infatti costruisce signorie collettive e imita il potere dei conti, imponendo ai “rustici” che devono obbedire al comune perché da quella stessa città, un tempo, comandava il conte, il funzionario pubblico per eccellenza. Queste costruzioni territoriali dei comuni sono ereditate, in Italia, da signori cittadini che, generalmente brutali sul piano militare, riescono spesso ad ammantare di pubblica legittimità l’ampiezza delle loro dominazioni.
I BARBARI: ROMANIZZAZIONE E BARBARIZZAZIONE
La ricerca storica degli ultimi anni ha smentito l’idea che alla base dei grandi cambiamenti che caratterizzano l’Europa tardo antica e dei primi secoli del Medioevo stia nello scontro o confronto fra gruppi, popoli, nazioni nettamente individuati e dotati di caratteri etnico-culturali oggettivi e stabili nel corso del tempo. Anzi i concetti che è necessario riscrivere sono sì di integrazione e di assimilazione, ma anche di processi che non furono tutti della stessa natura e non andarono tutti nella stessa direzione.
Nella parte finale del periodo del VI e VII secolo si osservano due processi diversi e opposti: da una parte, la romanizzazione dei barbari (Italia, Spagna, Gallia dove i ceti dirigenti d’origine barbarica furono integrati nelle strutture politico-istituzionali romane), dall’altra a un fenomeno di barbarizzazione della popolazione mediterranea (Europa centrale e orientale, lungo il Danubio e fino al Mar Egeo).
I barbari non sono da considerarsi solo come forza conquistatrice e devastatrice, perché era solo nella parte barbarica dell’Europa che potevano maturare le relazioni trasversali, le simbiosi fra tradizioni diverse che diedero una loro identità proprio a quei paesi che, agli occhi dei romani, erano troppo barbarici per far veramente parte della civiltà umana.
E L'ORIENTE? QUESTIONI DI IMMAGINI?
L’interesse degli imperatori di Costantinopoli era quello di mantenere e imporre un solo cristianesimo ortodosso in modo tale da non creare discussioni sul dogma che potevano far scuotere l’impero dalle fondamenta e da ricercare solo “la giusta fede” (quella dell’ortodossia).
I conflitti con il papato si spiegano con l’esigenza di rafforzare la certezza del legame di continuità fra lo stato bizantino e il passato romano: secondo tale ideologia, Roma ora era Costantinopoli.
Inoltre, lo spazio della discussione teologica fu a lungo occupato da una controversia che ebbe non solo le forme di un gravo conflitto dottrinario, ma anche profonde implicazioni politiche: le immagini che ritraggono la divinità che valore hanno? Il movimento fondato sulla dottrina che considerava idolatrico il culto delle immagini sacre prese il nome di iconoclastia.
Secondo alcuni questo conflitto è da considerarsi meno combattivo e pesante rispetto a quanto si è detto. Fatto sta che la controversia iconoclastica influenzò l’identità della Chiesa ortodossa e della cultura greca fino a oggi.
A generare, comunque, questo movimento furono una serie di fattori:
- l’indebolimento del potere imperiale e della sua immagine per effetto delle sconfitte politico-militari negli anni che vanno dal 630 al 700 circa;
- lo sviluppo coevo di un dibattito sull’efficacia dell’intervento divino negli affari umani, sulla potenza occulta delle reliquie e sul culto dei santi: da qui il problema del valore delle immagini sacre.
Seguirono alcune politiche iconoclaste, spinte spesso da ristabilire la pace e abbandonare l’idea che la sconfitta fosse una punizione voluta dal creatore stesso. Il violento terremoto e l’eruzione sull’isola di Thera nel 726 furono interpretati come l’ultimo avvertimento divino. Sembra che allora Leone III avesse introdotto una forma piuttosto leggera di iconoclastia sostenendo che le immagini dovessero essere rimosse da quelle parti delle chiese o degli edifici pubblici dove avrebbero potuto essere prese inavvertitamente per oggetti di venerazione.
Il figlio di Leone III, Costantino V convocò addirittura un concilio che avrebbe dovuto pronunciarsi sul ruolo e sul valore dell’immagini, allontanando la Chiesa e l’ortodossia dal pericolo dell’idolatria.
Successivamente Irene, imperatrice reggente nel 780, reintrodusse le immagini e con il Concilio di Nicea, 787, ci fu da un lato la riconciliazione del clero iconoclasta con la nuova politica imperiale, dall’altro la fondazione, per la prima volta, di un culto ufficiale delle immagini.
Infine, con Leone V si ritorna all’iconoclastia per diverse ragioni: poiché i regni di Leone III e Costantino V erano stati tempi di successi e vittorie militari, si riteneva che fosse stata l’iconoclastia la causa vera di quella stagione fortunata. Di fatto, nulla cambiò in termini di vittorie militari e l’iconoclastia ufficiale imperiale andò svanendo senza incontrare resistenza dopo la morte dell’imperatore Teofilo nell’842.