giovedì 13 settembre 2012

Walter Benjamin: la riproducibilità tecnica


La questione della riproducibilità tecnica
Il punto di partenza di tale questione è quanto si è detto nel post precedente (Walter Benjamin. rivivere momenti di umana esperienza perduta nell'alterità), ovvero la scomparsa della distanza, con le nuove tecnologie, tra uomo e mondo, distanza da intendersi, dal punto di vista antropologico, come unica e originaria.

Riportando la questione a livello artistico e considerando le sfere del pittorico e del fotografico, Benjamin cerca di capire il cambiamento di percezione che è avvenuto: in altre parole, il fotografico ha introdotto un tipo di rapporto con il mondo basato sulla riproduzione perfetta e immediata della realtà e l’opera d’arte, che è sempre stata riproducibile, ora viene riprodotta in virtù proprio di tale tecnica.   

Nel fotografico rispetto al pittorico, con l’inserimento della riproduzione tecnica, viene a mancare quell’hinc et nunc tratto distintivo dell’autenticità e della primordialità del rapporto con il mondo dal momento che chi media il rapporto è, appunto, l’obiettivo e non l’occhio umano. L’oggetto riprodotto fotograficamente non possiede più, dunque, la sacralità, dal momento che la riproduzione tecnica lo ha sottratto alla tradizione e lo ha fatto diventare uno dei tanti nelle moltiplicazioni delle riproduzioni. 

Vicinanza e Lontananza, Arte e Altra Arte
Dal punto di vista percettivo, se gli oggetti naturali sono come apparizioni di lontananza, difficilmente raggiungibili e unici, quelli prodotti mediante riproduzione tecnica sono fatti appositamente per essere vicini alle masse. I prodotti della fotografia, inoltre, sembrano anche più vicini alle masse perché la stessa macchina fotografica è più facilmente utilizzabile dall’uomo.

Lontananza e vicinanza, insomma, forniscono percezioni diverse e le nuove forme d’arte secondo Benjamin stanno cambiando propriamente il modo di vedere l’arte. Le immagini fotografiche, come anche quelle cinematografiche non sono da intendersi come non forme artistiche ma altre forme artistiche. Il fotografico è tecnica perché basato sul gioco della chimica con la luce, ma la riproduzione perfetta rappresenta un’altra natura:

è una natura diversa da quella che parla all’occhio; diversa specialmente per questo, che al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall’uomo c’è uno spazio elaborato inconsciamente ([Benjamin, Piccola storia della fotografia, Torino, Einaudi, 1991], p. 62)

Lo spazio artistico impadronito
Lo spazio elaborato inconsciamente è ancora uno spazio primordiale e sacro e corrisponde al primo periodo dell’uso della fotografia. Le prime immagini fotografiche possedevano ancora una forma di aura che conferiva “al loro sguardo la pienezza e la sicurezza” ([Benjamin, 1991], p. 67), col passare del tempo, però nasce nell’uomo il desiderio di avvicinarsi sempre più all’oggetto, di superare l’irripetibile e unico mediante la sua riproduzione. Questo bisogno di impadronirsi dell’oggetto da una distanza minima è la riproducibilità tecnica. Il rapporto tra uomo e mondo, reale e immaginario, l’Io e l’Altro cambia radicalmente. 

Se da un lato la riproducibilità tecnica emancipa l’esperienza parassitaria di essere espressione di un culto, ora la sua funzione è diversa: 

così come nelle età primitive, attraverso il peso assoluto del suo valore culturale, l’opera d’arte era diventata uno strumento della magia, che in un certo modo soltanto più tardi venne riconosciuto quale opera d’arte, oggi, attraverso il peso assunto dal suo valore di esponibilità, l’opera d’arte diventa una formazione con funzioni completamente nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli, cioè di quella artistica, si profila come quella che in un futuro potrà veni riconosciuta marginale 
([Benjamin, 2011], V, p. 13)

Conclusioni
La pratica mimetica, insomma, sembra far riemergere il senso primordiale delle corrispondenze tra mondo e uomo. Questa riemersione avviene perché l’uomo è il massimo produttore di somiglianze ricorrendo all’uso della memoria o dell’immedesimazione: sorge in questo modo un rapporto col mondo unico, particolare e irripetibile. Un rapporto in cui la percezione del tempo e degli oggetti pone l’uomo a confronto con la sua creatività e la sua espressione artistica. 

Infatti, secondo Cacciari, le considerazioni che Benjamin propone sul fotografico non potrebbero essere pienamente comprese se “non fosse giunta l’ora del tramonto di quelle idee di ‘creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero’, che ne contrassegnavano la storia” (Saggio introduttivo di Massimo Cacciari in [Benjamin, 2011], p. VII). In altre parole, la perdita di aura non solo avviene a causa dell’introduzione della tecnica e della sua applicazione nel fotografico, ma anche perché l’arte non esige più quel quid spirituale che il Romanticismo presupponeva. In questo modo, solo l’immersione completa nel tempo e negli oggetti permette di ritrovare tracce del passato, non sempre facilmente decifrabili.

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