Come anticipato nei primi due post di questo blog (Derrida: la relazione tra testi (parte I) e Derrida: la relazione tra testi (parte II)), il testo ha un ruolo fondamentale nel pensiero di Derrida.
Non solo ha confini aperti di significato data la permeabilità e la comunicabilità tra interno ed esterno, ma il lavoro che la scrittura compie nel tempo e contro il tempo, gli consente di generare, o meglio, disseminare sensi diversi e differenti.
Quello che si propone ora di fare è riprendere le riflessioni che Derrida aveva proposto a proposito del mito di Theut, presente nel Fedro di Platone.
La scrittura come pharmakon
All’interno del mito di Theuth, la scrittura viene
presentata dallo stesso Theuth al re Thamus come pharmakon, termine non
completamente traducibile e presenta un’ambivalenza dal momento che potrebbe
essere inteso sia come rimedio (medicinale) sia come veleno ([Derrida, 2004], Plato’s Pharmacy, I, p. 70.
Il pharmakos, nell’antica Atene era usato
per espellere il male fuori dal corpo e dalla città: alcune persone, chiamate
capri-espiatori, erano mantenuti dall’intera città e, quando si verificava una
calamità, ne sacrificavano uno o più. Questo sacrificio rappresentava la cura e
la purificazione: ciò che di negativo e di esterno aveva intaccato la città,
ritornava all’esterno, anche se il rappresentante dell’esterno (il
capro-espiatorio) veniva mantenuto all’interno della città. Ecco perché il pharmakos
è sia guaritore sia malanno, medicina e veleno ([Derrida, 2004], Plato’s Pharmacy, I, pp. 100-102). Bisogna, inoltre, ricordare che Theuth non è
solo colui che presenta la scrittura, ma è anche il dio della medicina da
intendersi come disciplina in cui s’intersecano scienza e magia ([Derrida, 2004], Plato’s Pharmacy, I, p. 94).
Analizzando, in seguito, questo
dialogo sembra che la scrittura sia da intendersi come una pozione velenosa nei
confronti della parola e del dialogo: nella scrittura manca la persona
parlante, il soggetto del discorso e non vi è traccia del logos. Attraverso
questa chiave interpretativa, la scrittura è pura comodità perché puro
esercizio di memoria (hypòmnesis) e non ha nulla a che vedere con
la conoscenza, intesa come prodotto della memoria (mnéme) ([Derrida, 2004], Plato’s Pharmacy, I, p. 91). La scrittura sarebbe solo ripetizione e non
condurrebbe a quel processo di reminiscenza che, se stimolato dalla percezione
di oggetti sensibili, conduce l’uomo a scoprire gradualmente nel proprio
intelletto le Idee:
Insofar as writing lends a hand to hypomnesia
and not to live memory, it, too, is foreign to true science, to anamnesia in
its properly psychic motion, to truth in the process of (its) presentation, to
dialectics. Writing can only mime them
[Derrida,
2004], Plato’s Pharmacy, I, p. 109.
Tipico esempio di persone che
utilizzano la scrittura nel suo senso più dannoso sono i sofisti:
In writing what he does not speak, what he
would never say and, in truth, would probably never even think, the author of
the written speech is already entrenched in the posture of the sophist: the man
of non-presence and of non-truth
[Derrida, 2004], Plato’s
Pharmacy, I, p. 68.
Nessun commento:
Posta un commento