Siamo giunti ormai al termine della disamina - seppur parziale - della questione della mimesis nel Novecento. Dopo Nietzsche (anche se uomo e filosofo dell'Ottocento), Derrida, Benjamin e Deleuze, è secondo me corretto terminare con Foucault.
Il sapere e l'archivio: si riscrive e si creano
Là dove si è raggiunto il punto
estremo della differenza, tutto non solo è uguale, ma tutto torna, anche sotto
forma di archivio. Inteso come deposito del sapere e patrimonio
collettivo, il concetto di archeologia del sapere di Michel Foucault
(1926-1984), all’interno di questa trattazione, può essere inteso come una riscrittura,
ovvero una trasformazione regolata di ciò
che è già stato scritto ([Foucault, L’archeologia del sapere, Milano,
Rizzoli, 1980], p. 185).
La relazione temporale tra testi
è letta in termini di positività ([Foucault,
1980], p. 168) ovvero come possibilità di definire spazi di
comunicazione manifestando delle identità formali, delle continuità o
discontinuità tematiche, cioè condizioni di realtà per gli enunciati ([Foucault, 1980], p. 170). Una serie di
enunciati o meglio un sistema di enunciati che hanno in comune questo spazio di
comunicazione diventa archivio. Se un enunciato appartiene all’archivio
allora è diventato evento e pertanto trova la sua enunciabilità all’interno
del sistema ([Foucault, 1980], p.
174).
Il concetto di archivio, in
queste brevi parole, sembra ricordare il fond sans fond di Derrida (Derrida: la scrittura comepharmakon (parte II)), una
porta sempre aperta verso l’infinito o come direbbe Deleuze un oceano per tutte
le gocce. Anche per Foucalt esiste un orizzonte mai completamente definitivo
dell’archivio per cui questo non è descrivibile nella sua totalità in quanto
noi stessi parliamo al suo interno, siamo dentro le sue regole, le sue
possibilità. Esso procede per frammenti, per regioni. In questo senso è
possibile affermare che esso ci delimita, stabilendo delle soglie di esistenza
che via via cambiano, compaiono e scompaiono:
fa brillare l’altro e l’esterno.
[…] Stabilisce che noi siamo differenza, che la nostra ragione è la differenza
dei discorsi, la nostra storia la differenza dei tempi, il nostro io la
differenza delle maschere. Che la differenza non è origine dimenticata e
sepolta, ma quella dispersione che noi siamo e facciamo
([Foucault, 1980], pp. 175-176)
L'archeologia del sapere e il suo fondamento: la diversità
Obiettivo dell’archeologia del
sapere non è tanto quello di ridurre le diversità dei discorsi e a delinearne
l’unità sotto un’unica legge universale, bensì suddividere per aumentare le
diversità.
Ancora una volta emerge il concetto di diversità come cifra
identificativa dell’alterità. Si scopre che riflettendo su se stessi,
sugli oggetti e sui testi che ci circondano, scatta un processo
d’immedesimazione da cui l’uomo non esce più somigliante a quello di prima.
Raccogliendo le tracce lasciate dalla memoria, si possono creare corrispondenze
apparentemente poco sensate. Apparentemente, perché alla fine il processo
mimetico è un processo anche introspettivo e personale in cui la
ricerca del senso procede nel rintracciare differenze perdute.
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