lunedì 24 settembre 2012

Conclusioni: Plotino e un certo self-conception?


Mentre l’Impero Romano si sta avviando verso la sua conclusione, emergono altre interessanti riflessioni, come quelle proposte da Plotino (nel presente post) e Sant’Agostino (nel successivo post). 

Plotino, fondatore del neoplatonismo, propone un’interpretazione del rapporto mimetico tra reale e rappresentazione come tentativo di fondere le prospettive razionalistiche della grande tradizione filosofica (Platone e Aristotele) con le nuove spinte irrazionalistiche e religiose della cultura contemporanea

Partendo dal fatto che il rapporto di compartecipazione e di somiglianza tra l’Uno e l’uomo, attraverso la sua anima, è inteso come desiderio di unione con la realtà intelligibile, la contemplazione di questa può essere intesa come attività di rispecchiamento e di specularità, in modo tale che l’anima possa essere sempre più somigliante all’Assoluto. Tale aspirazione mimetica rappresenta il superamento della condanna di Platone proprio perché i termini non sono solo quelli di modello e copia, ma d’intelligibile e sensibile: tra loro esiste inevitabilmente e necessariamente un rapporto archetipico e mimetico dal momento che il mondo sensibile è immagine di quello ideale

A tutto ciò si deve aggiungere il fatto che l’arte, intesa come imitazione della natura, crea e genera bellezza ispirandosi al bello ideale tramite la mediazione dell’anima: questa, infatti, permette alle arti di riprodurre le misure e la luce di quel mondo ideale. 
La bellezza ideale dell’Uno s’irradia e si emana anche sui prodotti dell’arte, pertanto l’arte può essere considerata a tutti gli effetti una via d’accesso all’Uno proprio in virtù di questa somiglianza. E’ questa la chiave di lettura dell’interpretazione della mimèsi: se il bello ideale è riflesso del bello sensibile, anche l’artista e la sua attività di creazione saranno il riflesso della capacità creativa dell’Uno, capacità non da considerarsi come qualitativa, ma solo quantitativa

Questo diverso modo di intendere l’uomo come rispecchiamento del divino porta a concludere che comincia ad apparire all’interno di questo contesto un certo self-conception, tale per cui l’uomo e la sua capacità intellettuale sono uno specchio produttivo e vivente dell’universo e, dunque, anche del divino. 

Rimando, se interessati, ai seguenti post:

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