lunedì 10 settembre 2012

Premesse: il tema del ritorno. Parte I


Un ultimo aspetto sotto il quale considerare la pratica mimetica è quello del ritorno sotto le sue declinazioni di esperienza mimetica con il tempo e con il mondo, di riproducibilità tecnica (Walter Benjamin) e di traccia (Jacques Derrida).

Si tratta di questioni che hanno interessato, sia direttamente sia indirettamente, filosofi che, seppur lontani temporalmente, partendo da considerazioni anti-romantiche (si pensi ad esempio a Schopenhauer), hanno posto come centrale la questione dell’uomo nel mondo, il suo ruolo, il suo modo di fruire l’esperienza estetica e il suo rapporto con oggetti/testi. La questione parte dall’Ottocento e si dipana in tutto il Novecento e troverà nella figura di Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) uno dei suoi primi teorici.

I punti di rilevante interesse che verranno trattati in questi primi post (Premesse) sono i seguenti:
  • l'importanza dell'esperienza estetica;
  • il concetto dell'Eterno Ritorno dell'Eguale;
  • il concetto di volontà di potenza.  

L’esperienza estetica e l’esperienza del tragico
Le riflessioni che si possono porre sull’uomo, in primo luogo, dipendono dalla percezione del vivere in un periodo di crisi (la crisi dei valori, degli ideali e delle ideologie, la crisi della morale, la crisi dell’idea di verità) e, probabilmente, uno dei luoghi che ha potuto esprimere questa crisi è stata proprio l’esperienza estetica. Secondo il pensiero di Nietzsche, se il mondo nell’età delle grandi utopie razionalistiche e storicistiche può apparire vuoto di senso e soprattutto di Dio, come fondamento ultimo, e se la contrapposizione dell’essere all’apparenza e alla finzione mostra tutta la sua illusorietà (Arthur Schopenhauer), allora l’uomo è libero di esporsi a quella libera e continua trasformazione che l’arte e l’esperienza estetica in generale lasciano venire in luce

Il fatto che l’esperienza estetica sia il luogo della crisi implica che anche l’esperienza del tragico possa restituire all’uomo la possibilità di vivere la vita nella gioia e nel dolore, tolto il filtro deformante delle giustificazioni religiose e scientifiche, in uno spirito ritrovato di “fedeltà alla terra” [Givone, 2008], p. 93.

Alla questione del tragico, Nietzsche dedica uno dei suoi primi scritti, La nascita della tragedia greca (in [Nietzsche, 1964], pp. 85-173) in cui l’autore spiega come questo sia nato in Grecia dopo l’approdo dei culti dionisiaci, uniformandosi allo spirito apollineo, ingentilendosi. In altre parole, dal coro dionisiaco dei satiri (i quali incarnano la comunione con la natura) un coreuta si stacca e anziché danzare insieme agli altri rappresenta di fronte a essi la propria danza. Aspetto musicale (dionisiaco) e plastico (apollineo), in questo modo, si congiungono nella rappresentazione e danno origine alla tragedia: il coreuta non è che l’autore tragico, il quale incarna e mette in scena in tutte le sue variazioni l’eterna vicenda del dio che soffre e al contempo esulta di questo suo stesso soffrire. Il dramma viene tragico quando Dioniso è rappresentato tramite una serie di immagini che trasformano in un mondo di ideale compiutezza e bellezza il vissuto di sofferenza dell’eroe.

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