venerdì 4 marzo 2011

Un po' di storia II: periodo aureo e argenteo

Abbiamo visto nel post precedente che il referente e il mittente del messaggio letterario nel periodo successivo alla morte di Ottaviano cambia, assumendo forme più spettacolari e cerimoniose rivolte all’elogio del princeps.

Tuttavia dobbiamo immaginare che in un epoca si presentano correnti e controcorrenti e che, dunque, a poeti che tendevano a elogiare si affiancano quelli che praticano l’uso delle satire. Persio, ad esempio, scrive sei componimenti di misura varia che costituiranno il libro delle satire: nel primo, la satira è di argomento letterario, il poeta si scaglia contro i poeti contemporanei  e contro la moda delle pubbliche recitazioni. Il degrado della letteratura contemporanea, asservita al gusto di un pubblico vizioso e fatuo, è secondo l’autore la diretta conseguenza del degrado morale e sociale dei tempi. Occorre, secondo Persio, una poesia che parli del vero e denunci il vizio, rifacendosi ai modelli di commedia antica e della satira romana.  
Persio non vuole limitarsi con le sue satire solo a osservare la realtà, a dipingerla in superficie: per comunicare una verità di ordine morale in un mondo piagato dal vizio, è innanzitutto necessario sferzare il lettore. Si propone dunque di “raschiare via” la crosta degli atteggiamenti sociali, di svelare ciò che sta sotto l’apparenza dei comportamenti. In altre parole, si parla di demistificazione che altro non è che la funzione chirurgica della sua satira.

Tralasciamo per un secondo la trattazione poetica e addentriamoci in quello che dalla morte di Ottaviano è stato definito come il sapere enciclopedico.
In età augustea, in concomitanza con le grandi istituzionali avviate da Giulio Cesare e completate da Ottaviano, si avverte una nuova e più matura esigenza di sapere tecnico-scientifico: Varrone scrive il De re rustica, riservando agli ultimi anni della sua vita il progetto enciclopedico delle Disciplinae, Igino compone un De agri cultura e un De apibus, Vitruvio scrive il suo importante trattato sull’architettura.
L’interesse per le discipline tecnico-scientifiche era destinato a ricevere un impulso ancora maggiore nel I secolo d.C. per opera di personalità come Celso, Plinio il Vecchio, Pomponio Mela, Frontino. A ciò collaborarono la maggior prosperità economica dell’impero, con il conseguente ampliamento dei ceti alfabetizzati; la formazione di quadri intermedi nell’amministrazione della macchina statale, sempre più bisognosa di figure professionali specializzate; l’allargamento degli orizzonti sociali e intellettuali provocato dall’espansionismo romano (si pensi all’uso delle carte geografiche e alla studio che vi fu dietro alla loro costituzione).

Due sono i modelli che si confrontano e talvolta si intersecano nella stesura di un’enciclopedia. Uno è quello del manuale specialistico, di derivazione greca e alessandrina, che in Roma non aveva ancora goduto di particolare interesse; l’altro, quello tipicamente romano, dell’enciclopedia, che mira all’ordinamento dei vari saperi specialistici all’interno di un progetto organico e compiuto.

Tra i diversi autori, vorrei prendere in considerazione Celso (ca. 14 a.C. – ca. 37 d.C.), autore di una vasta opera enciclopedica intitolata Artes, che comprendeva sezioni di agricoltura, medicina, arte militare, retorica, filosofia e diritto. Concepite in modo autonomo, le singole sezioni dovettero cominciare assai presto a circolare separatamente, favorendo nel corso del tempo la disgregazione dell’opera complessiva: noi possediamo sola la sezione riservata alla medicina, suddivisa in otto libri.
Nella prefazione all’opera, Celso si muove con equilibrio e ragionevolezza tra le due posizioni dominanti nell’ambito della medicina antica, quella dei teorici e quella degli empirici. I teorici sostenevano che la guarigione dipendesse dallo studio delle cause occulte, gli empirici, invece, parlavano di teorie interpretative generali. Celso assunse una posizione intermedia: occorre prestare attenzione ai propria, cioè agli aspetti caratteristici di ogni singolo caso, evitando di assolutizzare le proprie convinzioni, ma è necessario anche indagare le cause della malattia.

Un altro autore molto interessante è Plinio il Vecchio (23 d.C. – 79 d.C.). Assieme a Quintiliano, Plinio è lo scrittore che meglio rappresenta l’età dei Flavi, caratterizzata da un ritorno all’ordine e da una visione burocratica e amministrativa dello Stato romano. Come Celso, anche Plinio si incarica di mettere ordine nel campo del sapere universale e il suo massimo risultato si ritrova nella Naturalis Historia
Si tratta di un trattato di 37 libri pubblicato intorno agli anni 77-78. Il termine historia ha il significato di “ricerca”, come la sua origine greca, e, dunque, il titolo è da intendersi in questo modo: “ricerche sulla natura”.


L’opera di Plinio esordisce con un libro di indici (il piano dell’opera) seguito dall’elenco delle fonti e dal numero delle notizie e dei dati raccolti. I libri affrontano una materia vastissima: cosmologia (II), geografia ed etnografia (III-VI), antropologia (VII), zoologia (VIII-XI), botanica (XII-XV), agricoltura (XVI-XIX), medicina (XX-XXXII), metallurgia e mineralogia, contenenti un prezioso excursus sulle arti figurative (colori, pietre e marmi) tra cui pittura, scultura e architettura (XXXIII-XXXVII). L’opera è introdotta da una lettera dedicatoria al futuro imperatore Tito, nella quale l’autore illustra il vasto progetto (“Libros Naturalis Historiae, novicium Camenis Quiritium tuorum opus, natos apud me proxima fetura licentiore epistula narrare constitui tibi, iucundissime Imperator”).

La particolarità di Plinio è quella di aver pensato a una grande enciclopedia del mondo naturale, a cui l’autore giunge sospinto da un’insaziabile curiosita e dall’esigenza di salvare un vasto patrimonio di informazioni che sarebbe in altro modo andato distrutto. Se si pensa, infatti, alla deteriorabilità dei rotoli di papiro, del continuo ricopiare i testi, che impone necessariamente di una scelta, si capisce perché Plinio abbia voluto procedere a ricapitolare un’intera tradizione senza troppo preoccuparsi dell’autorevolezza delle fonti.
L’autore organizza l’immenso materiale raccolto mettendolo all’interno di una serie di “contenitori”: il materiale zoologico, ad esempio, viene distribuito in quattro libri, dedicati uno agli animali terrestri, uno agli animali acquatici, uno agli uccelli e un altro agli insetti. Se la struttura può sembra ben assortita, il contenuto risulta a volte irregolare e il filo del discorso spesso viene abbandonato come se l’autore avesse fretta di raccogliere il maggior numero di materiale possibile.

Procedere per associazioni di idee, per affinità con una serie di sbalzi che creano spazi per digressioni spesso di natura favolosa, permette di comprendere come lo spirito classificatorio di Plinio non sia solamente di tipo scientifico, ma forse anche antropologico. Sembra che il mondo naturale sia per lui un gran contenitore di mirabilia, un’area di stupefacenti bizzarrie, di cui Plinio offre un grande e quasi inesauribile repertorio:

Praecipue India Aethiopum tractus miracoli scatent. Maxima in India gignugntur animalia. Indicio sunt canes grandiores ceteris […] Multos ibi quina cubita constat longitudine excederem non expuere, … ” (VII, 21 - 22).

Insomma, per Plinio la natura è un magazzino di prodigi ed è proprio lui a scegliere quelli che possono suscitare maggiore spettacolarità. Il suo atteggiamento è molto eterogeneo e dipende dalle seguenti istanze:
  • deve organizzare il suo lavoro e nello stesso tempo ha l’ansia di raccogliere il maggior numero di fonti, materiali;
  • deve essere critico, ma nello stesso tempo è anche un narratore fantastico, fra la consapevolezza di un controllo delle fonti e l’orientamento favoloso dell’esposizione.
Alla fine Plinio sembra cedere al fascino irresistibile della notizia peregrina, abbandonando, quasi, il criterio selettivo:

per la maggior parte dei fatti che esporrò, non impegnerò la mia garanzia, rinviando piuttosto a quelle fonti, che citerò in circostanza dubbia” (VII, 8)

In questo inventario del mondo, con una prevalenza del gusto esotico, Plinio è riuscito doppiamente nel suo intento. Da un lato, effettivamente, grazie a lui abbiamo la conoscenza di un enorme patrimonio folclorico, etnologico, scientifico e tecnologico che sarebbe altrimenti andato perduto. Dall’altro, non dimentichiamoci che Plinio, nelle pagine dedicate all’uomo, ha espresso la sua idea di questo grande inventario: l’uomo viene spesso descritto come essere fragile e corrotto, preda di malattie e di infelicità (Lucrezio?), ma c’è una possibilità nel migliorare la propria vita tanto da affermare che “Dio è, per un mortale, aiutare un mortale” e che “questa è l’unica via verso la gloria eterna” (II, 18). Non male?

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