“La vita umana è una prova ininterrotta”.
Così esordisce Agostino esordisce nel paragrafo 39, dal quale inizierà un ragionamento che interessa il bene e il male, la verità e il peccato, e che trova una esemplificazione nel godimento dei beni (da quelli artistici a quelli di prima necessità) attraverso i sensi.
Ci sono momenti, prosegue Agostino, in cui “sono molto diverso da me stesso nel tempo in cui passo dalla veglia al sonno e finchè torno dal sonno alla veglia. Dov’è allora la ragione, che durante la veglia mi fa resistere a quelle suggestioni e rimanere incrollabile all’assalto della stessa realtà? Si rinserra con gli occhi, si assopisce con i sensi del corpo?” (Le Confessioni, X, 41).
Continua, poi, prendendo in considerazione la tentazione culinario dal momento che si sente “assediato da queste tentazioni, lotto ogni giorno contro la concupiscenza del cibo e della bevanda” (Le Confessioni, X, 47).
Si percepisce, anche da queste poche parole, la sofferenza che prova nel comprendere che è tentato da qualcosa, forse da qualsiasi cosa terrena. Non è del tutto esatta questa affermazione.
Nei paragrafi successivi, Agostino considera anche i beni dell’arte, come la musica. Afferma che per i piaceri dell’udito non bisogna “inchiodarsi”, ovvero che è bene ascoltare musica piacevole con un buon testo, ma è necessario non rimanere legati a queste rappresentazioni. Già il pensiero orfico-pitagorico e platonico aveva individuato una misteriosa corrispondenza tra i sentimenti dell’anima e l’armonia musicale. Agostino riconosce l’utilità dei canti liturgici, ricorda con commozione la propria esperienza personale durante i primi tempi della conversione, ma avverte anche il pericolo di abbandonarsi ai piaceri di un puro ascolto.
Voluptates aurium tenacius me implicaverant et subiugaverant, sed resolvisti et liberasti me. Nunc in sonis, quos animant eloquia tua, cum suavi et artificiosa voce cantantur, fateor, aliquantulum adquiesco, non quidem ut haeream, sed ut surgam, cum volo.
(Le Confessioni, X, 49)
Nel XII secolo Bernardo di Chiaravalle lamenterà che i monaci perdano tempo ad ammirare la bellezza dei capitelli zoomorfi dei loro chiostro. Quello che afferma Agostino è che il piacere estetico è illegittimo, perché non gode del valore simbolico dell’oggetto, ma della sua mera apparenza sensibile, allontanando l’anima da Dio e legandola ancora di più alle effimere forme terrene. Infatti, quando ci si appaga del piacere che proviene anche da un buon testo (i salmi di Davide ad esempio), la questione è diversa perché in questo caso si sta vivendo un’esperienza di bene:
Ita fluctuo inter periculum voluptatis et experimentum salubritatis magisque adducor non quidem irretractabilem sententiam proferens cantandi consuetudinem approbare in Ecclesia, ut per oblectamenta aurium infirmior animus in affectum pietatis assurgat. Tamen cum mihi accidit, ut me amplius cantus quam res, quae canitur, moveat, poenaliter me peccare confiteor et tunc mallem non audire cantantem. Ecce ubi sum!
(Le Confessioni, X, 51)
La bellezza, inoltre, che attraverso l’anima si trasmette alle mani dell’artista proviene da quella bellezza che sovrasta le anime: chi fabbrica e chi cerca le bellezze esteriori, tra da lì la giustificazione per dare valore all’oggetto, ma non trae la norma per farne un buon uso. Eppure c’è il valore e secondo Agostino andrebbe ricercata non tanto lontana (ovvero la verità risiede in Dio).
La questione potrebbe essere tradotta anche in questi termini: non bisogna abusare ed eccedere all’esperienza di appagamento dei sensi quando questi hanno uno scopo. Ma per Agostino, il piacere è un elemento di analisi interiore che lo logora. Provate a seguire i passi che vi cito e capirete perché:
Il piacere cerca la bellezza, l’armonia, la fragranza, il sapore, la levigatezza: la curiosità invece ricerca anche sensazioni opposte a queste, per saggiarle; non per affrontare un fastidio, ma per la bramosia di sperimentare e conoscere. Cos’ha di piacevole la visione di un cadavere dilaniato, che ti fa inorridire? Eppure, non appena se ne trova uno in terra, tutti accorrono ad affliggersi, a impallidire, e temono addirittura di rivederlo in sogno…”
(Le Confessioni, X, 55)
La mia vita pullula di episodi del genere, sicché l’unica mia speranza è la tua grandissima misericordia. Il nostro cuore diventa un covo di molti difetti di questo genere, porta dentro di sé fitte caterve di vanità, che spesso interrompono e disturbano le nostre stesse preghiere. Mentre sotto il tuo sguardo tentiamo di far giungere fino alle tue orecchie la voce del nostro cuore, l’irruzione chissà da dove, di futili pensieri stronca un atto così grande.
(Le Confessioni, X, 57)
E mentre mi sento turbare da tanta miseria, s’insinua nella mia mente una giustificazione che “tu sai, Dio”, quanto vale; me, infatti, rende incerto. Tu ci hai comandato non solo la continenza, ossia di trattenerci dall’amore di alcune cose, ma anche la giustizia, ossia di concentrarlo su altre; e hai voluto che non amassimo soltanto te, ma anche il prossimo.
(Le Confessioni, X, 61)
Il piacere è accettabile se misurato e se è giusto, ovvero che proviene dalla verità di Dio e che è indirizzato verso azioni buone dedite al prossimo.
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