Riporto qui di seguito alcune riflessioni che sono state tratte dalla lettura e dal commento del testo più conosciuto di Agostino, Le Confessioni.
Dalla prefazione di Giuliano Vigini (ai primi quattro capitoli pubblicati dal Corriere 2011)
Il Vigini ricorda una frase in cui Papini affermava, a proposito di Agostino, che costui era “uno di quegli uomini per i quali non esiste la morte”, nel senso che continua a rimanere intimo a un livello profondo, dando l’impressione “d’averlo conosciuto, d’averci parlato, d’essere amici”.
Le Confessioni sono una forma di racconto interiore delle proprie colpe facendo riferimento alla sua vita passata, allo scopo di mostrare quanto grandi siano stati i segni della misericordia e della grazia nella sua vita. Non si tratta, infatti, di una semplice autobiografia intellettuale e spirituale, bensì il passato si innesta nella fede del presente. In questo modo, il racconto non si esaurisce in se stesso, ma rimanda a qualcosa di più intimo e grande: il fine è quello di fornire una dimostrazione del radicale cambiamento che, per Agostino, è avvenuto grazie all’intervento di Dio.
Insomma Le Confessioni sono la trasposizione iscritta di quel movimento interiore che segna il percorso di ricerca dell’autore innescato da Dio.
Il male, nel passato, era un male per se stesso, senza motivo, senza ragione, adolescenziale, asseconda mento dello spirito di gruppo.
Dall'introduzione di Carlo Carena (volume Oscar Mondadori, Milano, 2000)
A proposito del significato del termine “confessione”, secondo l’autore, nel periodo della tarda latinità cristiana, deve essere affiancato a quello di lode a Dio in riconoscimento della sua grandezza e misericordia, alla sua glorificazione attraverso una storia di tradimenti e di perdoni. Ecco perché le confessioni di Agostino hanno un tono sia intimo e particolare sia pubblico e universale.
Agostino è un uomo nuovo: non è un eroe e non compie gesta eroiche, anzi gli episodi raccontati sono banali e comuni a molti, raccontati senza il gusto del romanzesco o dello scandaloso. Tuttavia lo sfondo che si viene a creare appare soprannaturale e di dimensioni incalcolabili.
Non bisogna dimenticare che molto di quello che troviamo in Agostino proviene anche da Plotino. S’imbatté nel neoplatonismo e questa fu una della fasi più alte della sua ricerca: è nei libri neoplatonici che scoprì il Logos, una delle tre sostanze o ipostasi di Plotino, emanata dalla prima, l’Uno, e a sua volta emanante della terza, l’Anima, che è il principio del mondo sensibile fino alle sue estreme propaggini del non essere, ossia la materia, causa del molteplice e del non-bene. Agostino, qui, scopre l’esistenza di una sostanza spirituale, non corporea: e non vi è origine del male, perché il male non è, è non essere.
Dal Nous di Plotino al Verbo del Vangelo di Giovanni il salto non è poi così lungo: sarà necessario animare il Logos con l’Amore, darle un volto, comprendere come e perché si sia fatta carne, umanizzarne l’astrazione, per approdare alla verità e alla felicità.
Sicuramente il problema dell’anima e dell’uomo sono centrale in Agostino. L’anima è ricca del vero, immortale, distinta dal corpo eppure suo principio vitale che lo muove e lo guida, come a sua volta ha il principio vitale in Dio. L’uomo è inteso come unità inseparabile dei due distinti elementi di anima e corpo creati da Dio e trova la sua dignità morale nel libero arbitrio, cioè nella libera determinazione delle sue azioni, di cui è responsabile: peccato e male, in questo modo, non sono altro che una scelta depravata, un atto insufficiente della volontà, lo scempio del bene, conseguenti al peccato originale. La storia poi continua: al retto uso del libero arbitrio si richiede un intervento divino, la Grazia; per l’incarnazione e la passione del Verbo, l’uomo fu riscattato dalla schiavitù della morte, Dio lo rese capace di opere buone, gli dona di operare, anzi opera in lui il bene.
Infine, l’importanza della memoria. Questa è un passo sul cammino agostiniano verso Dio: si ricerca quanto si conosce o si vuole conoscere che risiede già nella memoria e, se l’oggetto della ricerca è la felicità, allora questa sarà nella memoria di ognuno persona. Come è possibile notare, questo avvicinamento a Dio parte da un passato per poi riemergere attraverso lotte combattute contro una natura violenta e maliziosa e avere un appagamento eterno: il regno della pace, cui l’uomo era destinato e può ora approdarvi.
Termino con una citazione di Auerbach (Lingua letteraria e pubblico nella tarda età latina e nel medioevo, Milano, p. 60) che per me sintetizza molto bene la personalità letteraria di Agostino:
Agostino era un maestro di retorica, come dimostra la carriera della prima parte della sua vita; in lui retorica era diventata natura, una seconda natura, come suole accadere ai maestri di virtuosismo. Ma la massima artisticità può benissimo servire alla più autentica e profonda interiorità; e la semplicità popolare non protegge contro la vacuità del cuore.
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