giovedì 17 marzo 2011

Plotino: ulteriori precisazioni


Prima di approdare alla disamina del mondo di Agostino, vorrei riportare ancora alcune riflessioni che ho trovato imbattendomi nella lettura del seguente testo: Le radici storiche del movimento moderno: Plotino e l’architettura di Cesare De Sessa (Edizioni Dedalo, 1984, pp. 79-98).

ROMA AI TEMPI DI PLOTINO
Plotino apre la sua scuola a Roma tra il 244 e il 245, periodo agitatissimo per Roma e per l’Impero. La città sembra una megalopoli ed è proprio Plotino a fornircene l’immagine con il seguente inventario: 1790 palazzi, 46602 case di appartamenti, 290 negozi, 254 forni, 28 biblioteche, 2 circhi, 2 anfiteatri, 3 teatri, 4 scuole per gladiatori, 5 laghi artificiali per spettacoli nautici, 6 obelischi, 8 ponti, 2 terme, 19 canali d’acqua, 36 archi di marmo, 37 porte. Ma anche 926 piccoli bagni privati, 18 fori, 8 campi per giochi e una trentina di parchi pubblici.
Per un’area di duemila ettari, la maggior parte di queste racchiuse tra le mura Aureliane, e circa un milione di persone: una città enorme, con tutte le sue disfunzioni, le contraddizioni e i mali.

IL BELLO
In questo clima, appare molto particolare lo studio di Plotino verso il bello che non è il prodotto dell’arte che genera un qualcosa di sensibile, ma di superiore perché riflesso di una bellezza ideale propria dello spirito. L’arte, infatti, è emanazione del mondo superno che si concretizza/materializza proponendosi come elemento intermedio tra il mondo intellegibile e quello sensibile.
L’artista ha come punto di riferimento l’ideale e punterà verso quello, mai verso il mondo sensibile o qualche sua simulacro, per la formulazione dell’opera. In questo modo, il processo artistico non è da intendersi come mimetico, bensì come un qualcosa che crea e genera: la materia, priva di qualità e di essenza, assume una forma diversa, una forma più bella proprio in virtù della parentela con l’ideale di bello.

Cambia, radicalmente, il concetto di imitazione e anche di modello: per Platone il modello rappresentava l’apparenza sensibile del mondo delle idee, per Aristotele era qualcosa che rimandava all’universale. Invece, per Plotino, l’oggetto di pensiero non è da collocare al di fuori del pensiero stesso, ma è identico a esso. L’attività artistica non può consistere nella produzione di un oggetto esteriore, ma deve anch’essa identificarsi col suo oggetto, col bello. Il processo artistico, esprimendo una tensione verso il bello e il vero, parte da un qualunque modello: è, quindi, l’immaginazione e l’intuizione che diventano gli strumenti per interpretare il reale.

Vi è poi una differenza tra il bello prodotto dall’arte e quello prodotto dalla natura: se il bello della natura deriva da meccanismi seminali del mondo, quello dell’arte è specifico dell’uomo, della sua peculiarità di essere spirituale. Anche se l’arte crea analogamente alla natura, c’è tra artista e natura una distanza molto profonda: l’uomo non risponde a meccanismi prestabiliti come fa la natura, bensì è un essere spirituale che vuole perseguire il vero e il bello. Naturalmente quando si parla di bello e di vero si deve fare riferimento a istanze intellegibili emanazioni dell’Uno da cui tutto discende.

CONCLUSIONE
L’artista non imita solo la natura, ma, essendo essere spirituale, si ispira a forme superiori, molto più lontane e primigenie, da cui la natura, comunque, ha avuto origine.
Nel processo artistico, infine, l’uomo crea e forma un prodotto frutto e allusione di quel mondo spirituale che attraverso l’opera si manifesta. Da questo processo di ispirazione nasce la bellezza.

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