mercoledì 23 marzo 2011

Il concetto di mimesis: tra bello e anima (parte I)

(Si precisa che le osservazioni che sono seguiranno sono tratte dal testo Estetica. I nomi, i concetti, le correnti, di E. Franzini, M. Mazzocut-Lis, Mondadori, 2000, p. 16, 252 e pp. 157-160)

Molto di quello che è stato scritto, a proposito della questione estetica dell’arte e della mimesis, con Plotino vale anche per Agostino.

Per Plotino si era detto che l’imitazione dell’idea realizza il desiderio di unione con la realtà intellegibile (l’Uno, l’Assoluto), anche in base alla somiglianza che tale realtà presenta con la natura dell’anima.
In Agostino, sebbene il contesto sia diverso, la questione è da porre con simili termini: il rapporto di similarità e di armonia deve esistere tra la cosa bella e l’anima (il tutto verrà ripreso dalla Scolastica nel Medioevo).

Pertanto, io mi concentrerò su queste due nozioni, quello di bello e di anima, nei successivi post.
Per capire cosa è il bello per Agostino bisogna fare un passo indietro e retrocedere al periodo greco affrontando la distinzione tra soggetto e oggetto.
E’ di fondamentale importanza recuperare il pensiero di Platone sia per la rilevanza che questo concetto ha nel sistema filosofico, sia perché i suoi caratteri si trasmetteranno al linguaggio comune, in cui il termine si circonda di un alone di positività e pacificazione formale, sia etica sia legata al piacere.

Per Platone il bello non è il frutto di una technè, cioè un manufatto, un qualcosa di prodotto, né di una poiesis, invenzione: è il piano ideale del bene. Appartiene all’essenza delle cose e non può venire limitata alla piacevolezza dei sensi di fronte alle apparenze sensibili. Ricollegandosi al pensiero pitagorico, la nozione di bello è connessa con quella di ordine, armonia, simmetria, tutte qualità che sfuggono alla materialità e si avvicinano all’idealità. Ecco perché né l’arte, né la poesia hanno il bello.

Aristotele, nella Retorica, parla della bellezza al tempo stesso come un valore che genera piacere  e come una forma oggettiva determinata dall’ordine, dalla misura e dalla simmetria.

La visione greca del concetto di bellezza, pertanto è molto legata al concetto di simmetria e di decorum, da intendersi come legame al piacere, alla morale pratica e all’utilità. Sono però due visioni che, col passare del tempo, creeranno due posizioni distinte che influenzeranno l’intera storia del concetto.
Vitruvio, nel trattato De Architectura, afferma che la bellezza risiede anche negli abiti degli edifici in quanto vi sono presenti la ordinatio, dispositio, symmetria, eurytmia, decor e distributio.
Plotino, dal canto suo, considerando il bello prende in esame anche il sensibile: la teoria ascensionale della bellezza, radicata in primo luogo nelle cose sensibili, tende all’Assoluto. E’ proprio attraverso il pensiero di Plotino che l’idea di bello nella cultura greca incontra il modello cristiano grazie anche ad Agostino: recupera la concezione oggettivista di stampo platonico con armonia e misura che a loro volta provengono dalla bellezza spirituale che ha in Dio il suo vertice ideologico.

Questa è la prima visione, la seconda proviene da Tommaso d’Aquino che parla di bellezza in questi termini:

pulchra sunt quae visa placent

Molto brevemente, è possibile affermare che, pur mantenendo la consueta affinità tra buono e bello, Tommaso sostiene che il bello si riferisce non alla causa finale, come il bene, ma alla causa formale. Si parla, dunque, di dimensione conoscitiva che produce piacere attraverso la vista e l’udito: si ha, oltre alla dimensione oggettiva, anche quella soggettiva che però non è da connettere solo al campo teologico. Sembra, piuttosto il segno di un punto di vista aristotelico che persiste.

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