lunedì 14 marzo 2011

Plotino: tra neoplatonismo e sincretismo, ma non solo


Prendendo in considerazione l’ultimo post e facendo alcune considerazioni che fanno riferimento al periodo precedente alla diffusione e influenza del cristianesimo, vi possiamo collocare Plotino.
Infatti, le tradizionali filosofie pagane, di orientamento razionalistico, sembrano destinate a essere travolte dalle religioni rilevate; tuttavia, il mondo pagano elabora con Plotino e i suoi discepoli uno sistema filosofico complesso e profondo che viene comunemente chiamato neoplatonismo.
Il nome fa riferimento alla nuova interpretazione del pensiero di Platone alla luce delle teorie delle scuole greche e delle correnti orfiche, dionisiache e misteriche.

Plotino nacque intorno al 205 a Licopoli, in Egitto, e si trasferì presto in Alessandria, patria della filologia e degli studi, dove frequentò al scuola di Ammonio Sacca, avendo come compagni anche il letterato greco Longino e il cristiano Origene. Seguirà una spedizione in Persia e poi approderà a Roma, dove fonderà una scuola nella quale insegna e commenta i testi platonici. Tutti i suoi commenti e trattati saranno raccolti da Porfirio nel volume delle Enneadi.

Al centro della sua filosofia si trova il rapporto tra Dio e mondo, l’Uno e il molteplice. Dall’Uno discendono, attraverso un processo di irradiazione, il Nous (Spirito o Intelletto) e l’Anima: Uno, Intelletto e Anima costituiscono le tre ipostasi, cioè sostanze, attraverso cui l’Essere si rivela, divenendo altro da sé. Al fondo del processo di irradiazione, che è il risultato di una sovrabbondanza d’essere dell’Uno, il quale resta dunque sempre integro in sé senza mai depauperarsi, sta la materia, interpretata come una privazione di bene (non come male).

Vediamo un attimo le caratteristiche principali di questa filosofia:
  •  l’unità come condizione della molteplicità, afferma Plotino nelle Enneadi (VI, 9, 1):
Tutti gli enti sono enti in virtù dell’Uno […]
la salute stessa si ha solo allora ce il corpo sia coordinato
in unità; e si ha bellezza quando le parti siano tenute insieme dalla virtù dell’uno […]

Inoltre, se la radice dell’essere è l’unità, la radice del mondo è l’Uno. Questo Uno è un qualcosa di infinito (metafisicamente inteso come di illimitata potenza), privo di forma e di figura, e di conseguenza, “al di là dell’essere e della sostanza”, ovvero “al di là di ogni determinazione quantitativa e spazio-temporale;
  • la ragione rimane il fondamento e lo strumento principe attraverso cui è possibile comprendere l’essenza dell’universo, senza ricorrere a una divinità. Ad esempio, lo stato emotivo di estasi non dipende tanto dalla grazia divina o da forze magiche, ma rappresenta il culmine della consapevolezza di sé quando l’anima dell’uomo, costretta a vivere esiliata sull’incerta soglia fra Uno e Tutto, si ricongiunge direttamente all’Uno e ne gode la benefica visione. A tale stato si giunge tramite l’esercizio della virtù, della contemplazione della bellezza e lo studio della filosofia;
  • il carattere sincretistico di questa filosofia che spesso mette in relazione il mondo visibile e quello invisibile, alimentando sia le ragioni del paganesimo politeista, sia del cristianesimo monoteista. Il neoplatonismo diventa, così, terreno di scontro (dalla morte di Plotino, 207, fino alla chiusura dell’Accademia ateniese, 529) per la cultura pagana e quella cristiana.

Come è possibile notare, centrale è l’elemento dell’Uno. Questo Uno non ha bisogno del mondo, ma “essendo tanto”, sovrabbonda e trabocca senza alcuna intenzione, ma inevitabilmente.
I processi attraverso i quali dall’Uno deriva tutto sono due: da un lato abbiamo l’irradiazione e dall’altro l’emanazione. Plotino usa una serie di immagini per rendere questi due processi: la più celebre è quella in cui il procedere del reale da un principio supremo è identificato con l’irradiarsi della luce da una fonte luminosa centrale. In questo senso, l’emanazione potrebbe essere intesa come un processo per cui dall’Uno derivano necessariamente i molti, attraverso una serie di gradi d’essere sempre meno perfetti a mano a mano che ci si allontana dal Principio iniziale. Non si tratta di un processo cronologico, ma ideale e non si compie nel tempo, ma in eterno.

Questo processo di emanazione procede per ipostasi (realtà sostanziali per sé sussistenti): la prima è l’Uno stesso, la seconda l’Intelletto e la terza l’Anima.
L’Uno è “in potenza le cose che da lui si irraggiano”.
L’Intelletto, che sorge da una contemplazione dell’Uno, pur implicando già uno sdoppiamento fra soggetto pensante e oggetto pensato, rappresenta l’esplicazione delle cose che nell’Uno erano in potenza: insomma, tutte le forme dell’essere.
L’Anima, infine, guarda da un lato all’Intelletto, da cui riceve la luce delle cose archetipiche e da ciò pensa, e dall’altro guarda a ciò che è dopo di lei e lo ordina tramite le idee (che sono da considerarsi sia platonicamente, come modelli, sia aristotelicamente, come forme plasmatrici). Così l’Anima ha una parte superiore rivolta all’Intelletto e una inferiore al Corpo.
Ogni ipostasi nasce da una contemplazione dell’ipostasi precedente e costituisce l’esplicazione o realizzazione, ad un livello ontologico inferiore, di qualche sua caratteristica: ad esempio, l’Intelletto nasce dalla contemplazione dell’Uno e si configura come esplicazione del suo essere.

Se dall’Uno “nascono” i molti, questi, all’interno di un circolo cosmico, ritornano all’Uno. La saldatura di questi due semicerchi avviene tramite la presenza dell’uomo e la “nostalgia” dell’Uno (come un fortissimo richiamo).
Secondo Plotino, il ritorno all’Uno è un itinerario che l’uomo può iniziare e percorrere solo mediante il ritorno a se stesso e l’abbandono delle cose esterne. La prima tappa del ritorno, dunque, è la liberazione tramite le virtù civili: con l’intelligenza e la sapienza, l’anima si abitua ad operare da sola, senza i sensi; con l’intemperanza si libera dalle passioni; con il coraggio non teme di separarsi dal corpo; con la giustizia fa sì che comandino in sé soltanto la ragione o l’intelletto.
Le successive tappe (quella delle virtù è una sorta di tappa preparatoria) sono l’arte, l’amore e la filosofia.

L’arte è la contemplazione della bellezza, la quale, essendo forma emergente della materia, si configura come il tralucere dell’idea. L’amore solleva l’uomo gradualmente dalla contemplazione della bellezza corporea a quella incorporea, la quale  l’immagine o riflesso del Bene. Infine, la filosofia, o dialettica, permette l’uomo di procedere verso la fonte stessa della bellezza, ossia verso l’Uno in sé. Per giungere a questo punto non ha bisogno dell’intelligenza (che come abbiamo visto prima è un qualcosa che divide oggetto pensato e soggetto pensante), ma di un amoroso contatto che è l’estasi, intesa come “uscita da sé” e dai propri limiti.

Al prossimo post, approfondiremo la questione relativa all’arte.

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