Fino a ora abbiamo compreso che Agostino identifica la ricerca della verità con la ricerca della felicità: da tale punto di vista la sua vita si presenta come un itinerario lineare, dalla giovinezza dedita al piacere dei sensi, inteso ma fugace, fino alla maturità consacrata alla tensione verso una felicità assoluta, sottratta a ogni limite di tempo e spazio e umanamente attingibile solo in straordinari momenti di estasi mistica. L’approdo al cristianesimo permette, dunque, di realizzare questa tensione, grazie alla promessa di beatitudine infinita ed eterna nel regno celeste.
Vorrei, ora, soffermarmi sul significato e sul senso della memoria.
Andando a rileggere libro dopo libro, proprio soffermandomi al capitolo X capisco alcuni elementi. Perché Agostino scrive i primi 9 capitoli e poi arriva al decimo e cambia qualcosa? Perché Agostino ricorda?
Il fatto è che è proprio nel ricordo che si ritrova Dio e la felicità: Dio è nella memoria, perciò il processo del ricordo ci riconduce da noi stessi a Dio. La questione del tempo diventa importantissima e ogni episodio raccontato è ricco e denso di significato: persino un furto di pere compiuto da adolescente può diventare il simbolo del male compiuto per se stesso.
Più ci si avvicina al capitolo X, più Agostino si avvicina al nuovo Agostino. Nel libro XI, le parole sue lasciano spazio a quelle di commento alla Genesi. Proprio in questo caso, comincerà a intendere il tempo come estensione dell’anima. Non è corretto parlare di passato, presente e futuro, bensì si dovrebbe intendere il presente del presente, inteso come attenzione, il presente del passato, inteso come memoria, e il presente come futuro, inteso come attesa. Il discorso sulla memoria, psicologicamente intesa, è da vedere in un processo che ha una tripartizione molto visibile (tripartizione che esiste e ha come punto di partenza l’uomo inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te, I,1):
- i libri dal I al IX sono quelli dedicati alla meditazione sulla memoria;
- il libro X è quello dell’attenzione;
- i libri dal XI al XIII sono quelli dell’attesa, della quies promessa dalla Parola di Dio. Questi libri sono un’analisi dei giorni della Creazione e fanno riferimento alla Genesi.
Dal punto di vista stilistico, è necessario sottolineare la finalità dell’opera: i lettori possono essere tutti gli uomini interessati e, dunque, lo stile è necessariamente più diretto, paratattico e incalzanti. L’antitesi è la figura prediletta (l’opposizione bene/male) e l’interrogazione è un artificio retorico molto utilizzato (domande che guidano il lettore verso una verità che pian piano si acquisisce).
Riporto qui di seguito alcuni versi tratti dal brano del furto delle pere (II, 9):
Et ego furtum facere volui et feci nulla compulsus egestate nisi penuria et fastidio iustitiae et sagina iniquitatis.
(Eppure io volli commettere un furto, e lo commisi non costretto da alcuna miseria, bensì da povertà e insofferenza di giustizia e sovrabbondanza di iniquità)
Arbor erat pirus […] Ad hanc excutiendam atque asportandam nequissimi adulescentuli perreximus nocte in tempesta […] non ad nostras epulas, sed vel proiecienda porcis
(C’era un albero di pere […] Qui ci spingemmo, noi ragazzacci, per scuoterlo e spogliarlo a notte fonda […] non per farne una scorpacciata, ma per gettarle ai porci)
Ecce cor meum, Deus, ecce cor meum, quod miseratus es in imo abyssi. Dicat tibi nunc ecce cor meum quid ibi quaerebat, ut essem gratis malus et malitiae meae causa nulla esset nisi militia
(Ecco il mio cuore, Dio, ecco il mio cuore che nel profondo dell’abisso ti ha mosso pietà. Ora di dirà, questo mio cuore, cos’era andato a cercarvi, e perché io fossi tanto malvagio senza un motivo e la mia malvagità non avesse altro motivo all’infuori di sé stessa).
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