mercoledì 5 gennaio 2011

Tutti contro Platone?

Da quanto detto nei due post precedenti, le idee di Platone sembrano calare in un’ombra non molto positiva per l’arte.

In parte questa affermazione è vera, in pare falsa. Perché?

Il concetto di mimesis, se intesa come forma di ispirazione (poetica, Ione), può richiamare i riti e i misteri del culto di Dionisio (post A come Ancora Aristotele, carattere “anti”-religioso), dall’altro, intesa come attività demiurgica di forgiare, costruire, formare qualche cosa, è da intendersi come una forma più o meno fedele del mondo delle idee. Questa ispirazione, dunque, è connessa alle arti di un rito religioso come potevano essere la danza, la musica e la poesia: avendo come tramite la divinità, il poeta poteva usufruire di questa illuminazione e in uno stato di estasi, perso ogni freno razionale, si danzava e si componevano poesie.

E’nella Repubblica, invece, che Platone cambia totalmente idea, o quasi. Qui vi specifica che la mimesis è da considerarsi come una trasposizione della natura in forma di rappresentazione artistica, trasposizione inadeguata perché non veritiera e non utile. Ecco che allora che proprio l’aggettivo “utile” apre una spia interessante per capire cosa veramente era l’arte per Platone.

Sicuramente non un qualcosa di razionale: si è visto (Ione, Fedro, Leggi) che quello che veniva rappresentato durante un rito religioso, altro non era che una forma di “invasamento irrazionale” pari a una forma di illuminazione divina che irradiava il suo potere e lo concedeva agli uomini per un breve periodo.

Sicuramente menzognera perché non bisogno dimenticare che l’impianto del pensiero filosofico di Platone è basato sull’esigenza teoretica e concettuale di conformità al vero. L’arte può essere solo una riproduzione inadeguata dell’apparenza dell’essere (ecco i due gradi di distanza dalla verità). Due osservazioni ancora.
Platone afferma, appunto, che l’arte sarebbe due gradi lontana dalla verità perché menzognera e nel Cratilo afferma che sarebbe impossibile rappresentare nella pienezza delle sue proprietà un qualsiasi oggetto, poiché se così accadesse, allora, ci sarebbero due oggetti identici e non l’oggetto e l’immagine.
Inoltre, ricordiamo brevemente che cosa significa per Platone conoscere. I gradi della conoscenza si modellano su quelli che sono i gradi dell’essere. Il più alto grado della conoscenza è occupato dalla noesis, ossia la conoscenza scientifica e razionale che porta verso le idee-valori (intelligenza filosofica), e dalla conoscenza dianoetica (matematica). Proseguendo, si trova la doxa, l’opinione (immaginazione e credenza) che si trova a metà strada tra l’essere e il non essere, il vero e il non vero. Infine, l’ignoranza che, in base alla corrispondenza tra essere e conoscere viene espressa nella seguente formula “ciò che in nessun modo è, in nessun modo è conoscibile” (Repubblica, 447 a).

Infine, inutile. Facciamo un breve ragionamento: se l’arte è riproduzione menzognera di quella che, oltretutto, è solo apparenza dell’essere, potrà mai essere utile all’uomo? In altre parole potrà mai essere utile un’attività di produzione che è connessa a impulsi non conoscitivi? Per Platone no. E qui vi ritroviamo un Platone fortemente preoccupato: la sua è una preoccupazione etico-politica perché teme l’arte immorale in grado di suscitare e alimentari passioni violente e non controllabili nell'uomo (filosofico e politico).

La questione, dunque, tra Platone e Aristotele potrebbe essere sintetizzata prendendo in considerazione il lungo dibattito sui programmi che mostrano violenza in televisione (si precisa che per violenza, qui, s’intende una forma di violenza che sia comunque giuridicamente possibile trasmetterla in televisione). Per Platone, sarebbe altamente dannoso perché lo spettatore vedrebbe queste immagini e sarebbe portato, in certe occasioni, a imitare i comportamenti o a mutare la propria indole. Per Aristotele, la questione è da porre in termini diversi: come osservatore, lo spettatore, terminata la sequenza di immagine realizzerebbe un insieme di pensieri tali che possano servirgli poi nella sua vita quotidiana (tra questi pensieri c’è sicuramente quello di essere sollevato dal non essere lui nella scena).
 
Detto tra noi, è molto riduttivo trarre solamente queste conclusioni. Sicuramente sia Platone, sia Aristotele meritano una trattazione più ampia. Soprattutto Platone che, anche se qui sembra intendere l’essere umano incapace, per sua natura, di non essere attratto da certe pulsioni, altrove lo ha ritenuto possibile di luna importante iberazione (il mito della caverna)

Queste osservazioni sono state tratte leggendo due libri importanti: il primo è una forma di manuale di estetica (Estetica. I nomi, i concetti, le correnti. Di Elio Franzini, Maddalena Mazzacut-Mis, Mondadori, 2000), il secondo è un “breviario storico” sugli studi di estetica e i suoi principali autori (Storia dell’estetica. Sergio Givone, Laterza, 2008). Non vorrei poi dimenticare la lettura dei dialoghi platoniani citati sopra, tra cui, quelli a me più cari, il Fedro e la Repubblica.

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