sabato 8 gennaio 2011

Amore e bellezza: oltre le passioni, c’è la dialettica


Il discorso sul bello è tipico del Fedro che ha come sottotitolo proprio “Sulla bellezza”. Argomento già in parte trattato nel Simposio o Convito da cui si ricava che l’amore è ricerca del bello e quindi la risposta definitiva al perché dell’amore è l’aspirazione ad un bene ultimo.

Nel Simposio Amore o Eros è:
- un bisogno fondamentale dell’uomo  che deriva da una mancanza – mito degli androgini (“a questa brama di interezza, al proseguirla, diamo il nome di amore”, Simposio 192 b – 193 d);
- è un mezzo per contemplare la bellezza (“per raggiungere quel bene di cui ci è guida e maestro amore”, Simposio 192 b – 193 d);
- un maestro o, come dirà Diotima, un demone, sempre alla ricerca del bello perché è stato concepito il giorno della nascita di Afrodite, dea della bellezza e dell’amore 202 d – 204 b). Insomma Amore è una sorta di filosofo (qualcuno che si pone da intermediario tra il mondo umano e quello divino); pertanto non si arriva alla comprensione della verità suprema solo con il Logos, ma anche con l’Eros che è amore, bellezza, entusiasmo;
- Amore ha una sua componente conoscitiva: se la sapienza appartiene al genere delle cose più belle, amore è rivolto al bello, dunque, amore è amante della sapienza. Amore è “il criterio che deve guidare l’individuo nel suo cammino verso la sophia; e certo sono pochi coloro ai quali è dato di vedere la bellezza della sapienza” (R. Luca, Introduzione in Platone, Simposio, p. XXXVII).

Nel Fedro amore viene catturato nell’ottica della soggettività, come aspirazione verso la bellezza ed elevazione progressiva dell’anima al mondo delle idee, al quale la bellezza appartiene. Il problema che si pone, dunque, è il seguente: come l’anima umana può percorrere i gradi della gerarchia del sapere per raggiungere la bellezza suprema?
In primo luogo, la scala gerarchica va dall’amore per la bellezza fisica in sé fino a quello delle filosofia (sapere supremo) ovvero da delirio dei sensi a amore filosofico o dialettica (Simposio e Fedro). Platone descrive perfettamente questo delirio dei sensi: “subito rabbrividisce e lo colgono in quegli smarrimenti di allora […] il brivido cede, gli subentra un sudore e un’accensione insolita: perché man mano gli occhi assorbono l’effluvio di bellezza, egli accende col calore si nutre la natura dell’ala…” (Fedro, 250 c - 252 b). Ma come mai l’uomo si trova in questo stato di delirio?

Il fatto è che bisogna ricordare che Platone ha in mente il mito della biga alata nel quale l’anima  è doppiamente influenzata, nel suo percorso conoscitivo, come se fosse guidata da due cavalli (uno bianco e uno nero): uno la porterebbe a rivolgersi al mondo delle idee, l’altro, invece, distoglie l’attenzione e la trascina verso il basso. Solitamente, l’anima riesce a cogliere e a contemplare questo sopracielo dove si situa la sostanza dell’essere, ma la durata di questa contemplazione varia da anima a anima. In maniera particolare, quelle anime che sono riuscite a contemplarla per più tempo e che poi vanno a risiedersi in un corpo umano ricordano quello che hanno visto (le sostanze ideali) tramite la bellezza. Ne è capace perché la bellezza è luminosità e il mondo delle idee è luminoso perchè c’è bellezza che vi risplende (“Ora, la bellezza, come s’è detto, splendeva di vera luce lassù fra quelle essenze”, Fedro 250 c – 252 b).

Come detto prima, questo amore non è da intendersi solo come amore corporeo o almeno non nella sua visione più alta. Può diventare bellezza in sé: se fosse amore corporeo, allora, l’uomo non avrebbe la mente lucida per “vedere la vera bellezza”, rimarrebbe in balia di una certa stranezza. Quando amore non è subordinato a passione o impulso, allora è lucida dell’essere in sé, dell’idea. L’eros diventa, dunque, procedimento razionale, dialettica.

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