mercoledì 19 gennaio 2011

La Repubblica di Platone: tassello n° 2


Nel Libro II di La Repubblica, Platone continua il discorso sulla giustizia, affermando che questa è un bene che si desidera sia per sé stessi, sia per i vantaggi che procurano. Inevitabilmente il discorso anche in questo caso verte sulla giustezza dei governatori perché dal caso particolare in cui si relaziona la giustizia con un essere umano, si passa al caso generale in cui questa viene posta all’interno del sistema stato.

Il ragionamento che Socrate, e dietro di lui Platone, propone è il seguente: l’esistenza di uno stato è essenziale perché, qualora non ci fosse, sarebbe quasi impossibile per l’essere umano sopravvivere. La prima organizzazione dello stato è basata sul fatto che i compiti vengono divisi in cui ognuno ha il suo compito: c’è chi fa l’artigiano, chi il medico, eccetera. Più lo stato e la società diventano complessi e ampi, più aumentano le categorie e i problemi, come ad esempio la guerra. Nasce, dunque, un insieme di necessità per le quali fondamentale diventa la figura del guardiano. Questo deve possedere determinate caratteristiche (mitezza, animosità), dovrà essere anche filosofo e aver seguito una determinata educazione, da quella musicale a quella ginnica e matematica.

In particolare, quando Platone si sofferma sull’educazione musicale e letteraria, precisa che è bene eliminare da questa le favole mitiche, come sono quelle di Omero ed Esiodo. Queste sono false e deformano l’immagine degli dei e degli eroi, presentandoli succubi di ogni vizio e malvagità. Queste, invece, dovrebbero  rappresentare le divinità quali realmente sono, “occorre rappresentare sempre la divinità quale è realmente, lo si faccia in versi epici o lirici o in tragedia” (a, II – 378,379).

Ecco pronte, dunque, le due leggi da seguire:
- la divinità è buona e perciò causa solo dei beni e non dei mali;
- la divinità non si trasforma e le sue pretese di metamorfosi sono un disconoscimento della sua perfezione. Gli dei non ingannano e non commettono falsità. E’ assolutamente vietato, dunque, ai poeti rappresentare gli dei come ingannatori e menzogneri.

L’idea di metamorfosi sembra essere legata a quella dell’inganno: “ mutare in molteplici forme, ora invece ci imbrogli e susciti in noi opinioni ingannevoli su di sé?” (d, II – 380, 381), ma anche “oggetti composti, suppellettili edifici indumenti, se bene lavorati e in buone condizioni, sono i meno soggetti a essere alterati dal tempo e dagli altri accidenti […] ogni cosa che si trovi in perfetto stato o per natura o per arte o per ambedue le ragioni, è la meno esposta a trasformazione da parte di un elemento estraneo […] ma assoluta perfezione è quella della divinità e del mondo divino […] e perciò la divinità sarà quella che meno assumerà forme molteplici” (a, b, II – 381).

I passaggi logici, in sintesi, dovrebbero essere i seguenti:
- da un lato, si trova la presenza di qualcuno di estraneo che può alterare, attraverso verosimiglianza, i fatti antichi, come le storie degli dei;
- dall’altro lato, si trova, invece, la figura della divinità che è semplice, perfetta e vera. Essa non muta, non inganna e produce del bene;
- gli educatori dei giovani che diventeranno guardiano dovrebbero prendere le distanze da queste forme artistiche.

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