domenica 16 gennaio 2011

Oltre le ombre: mi inganni o mi inganno?


Vorrei ancora soffermarmi su alcune riflessioni proposte da Linda M. Napolitano Valditara Platone e le ragioni dell'immagine:percorsi filosofici e deviazioni tra metafore e miti a proposito del mito della caverna. Si tratta di una lettura non gnoseologica od ontologica, bensì antropologica.

L’idea di qualcuno (il sofista, il poeta o retore) che inconsapevolmente sfrutti i complessi
meccanismi percettivi naturali, giungendo a mantenerci una visione di pure ombre, fornisce l’idea di un qualcosa che si frappone tra l’occhi e l’oggetto guardato: è un elemento terzo, non neutrale, né ben disposto, ma potenzialmente malevolo, esso o vuole interferire con quel rapporto (come fa il pittore o il poeta, deliberatamente teso, col suo nascondersi “oltre il muro”, ad ingannarci) o di fatto (come il piacere e il dolore indottici dalle immagini cantate e rappresentate dal poeta) può ingannarci.

Ancora una volta ritornano le passioni e si ipotizza la presenza di un terzo che mi devia. Più precisamente, in riferimento al mito sopracitato, l’autrice si pone la seguente domanda: chi ha incatenato gli uomini prigionieri nella caverna? Potrebbero essere i portatori di statue, i portatori di simulacri: loro vedono di più e non condividono le loro conoscenze con i prigionieri. Vivono anch’essi nella caverna e forniscono la materia prima dell’inganno con la proiezioni delle ombre ricavate dalle statue che portano. Secondo l’autrice, questi non hanno responsabilità diretta nell’incatenamento che obbliga i prigionieri a guardare solo il fondo della caverna anche perché, quando questi tentano la fuga, loro non li bloccano. La loro funzione, dunque, rimane esclusivamente quella relativa al portare le statue.

Dunque, pare che questi portatori di statue non siano le persone terze che deviano il percorso conoscitivo dell’essere umano, ma esiste veramente una persona che abbia questo ruolo? Non è forse che siamo anche noi ad essere, in alcuni casi - quando non siamo educatamente predisposti – a essere pronti a subire l’inganno? Per rispondere a questa domanda è necessario seguire il ragionamento dell’autrice.

Abbiamo compreso che uno dei problemi centrali in Platone rimane l’educazione perché questa servirebbe a non rimanere incatenati ai gradini più bassi delle nostre facoltà conoscitive (immaginazione – eikasia, credenza – pistis, conoscenza discorsiva – dianoia, intellezione – noesis). Queste dovrebbero essere le doti che i futuri governanti – filosofi/re dovrebbero avere: sono caratteristiche intellettuali ed emozionali. Tra quest’ultime si annoverano l’inclinazione ai piaceri dell’anima e non quelli fisici, la temperanza, il rifiuto della bassezza, la mitezza, la socievolezza, la cultura e la grazia: sono tutti tratti che dipendono dal desiderio e alla sua educazione connessi. L’uomo di Platone deve avere un’autentica disposizione interiore, sarà dunque colui che ben dotato da natura va poi educato in sede intellettuale non meno che emotiva, cioè globalmente proprio nella capacità di desiderare.

I desideri devono essere sempre presi in considerazione con i modi della loro educabilità. Il desiderio, in Platone, è comunque una componente fondamentale dell’essere umano, basilare e strutturale, ma solo formale, cioè non ancora orientato su oggetti precisi. Esso, dunque, è vago, indeterminato e capace di dirigesi su oggetti fra loro assai diversi: è qui che, rispetto alla virtù e alla felicità conseguibili, si annida per noi il massimo rischio. L’incatenamento accade quando il desiderio si appunta esclusivamente su oggetti materiali, cioè solo sul perseguimento dei piaceri del corpo e sulla fuga dai dolori del corpo. In questo stato, l’uomo può credere vere le cose che, invece, non lo sono: proprio a questo punto, il creatore di immagini può ingannarlo, spacciando per oggetti solidi di conoscenza e per beni autentici da perseguire delle pure ombre, incapaci di esibire la ragione della propria conoscibilità e perseguibilità quali beni. Proprio in questo modo, l’uomo darebbe potere a questi portatori di statue e basterà loro molto poco per farci rimanere incatenati. Questo è un orientamento del desiderio distorto.

Tuttavia, il desiderio rimane una componente importate: sarà proprio il desiderio a promuovere la liberazione dalle catene, non appena l’uomo si sentirà insoddisfatto di fissare ombre, e promuoverà la sua conversione verso altri possibili oggetti da conoscere. Il prigioniero si alza, si volta, ed ecco l’atto fisico del suo rigiramento e della sua conversione.
Tale rigiramento è sia dello sguardo sia del corpo, perché le facoltà intellettive, quelle emozionali e del desiderio vengono ri-orientate.

Qualcuno può ingannarmi perché io stesso, soggetto desiderante, sono incline e perciò disponibile ad ingannarmi sull’oggetto verso cui dirigere il mio congenito desiderio-di-bene e sulla legittimità della mia inclinazione a dirigerlo sull’oggetto più facile e immediato.

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