lunedì 3 gennaio 2011

A di Ancora Aristotele. Cosa ne pensate voi delle “circostanze di una sorte eroica”?


Nel mio primo post ho preso in considerazione una parte della Poetica (il primo libro, essenzialmente), senza andare nello specifico dell’oggetto dell’imitazione. In questo caso, Aristotele si discosta dalle idee del suo tempo e allontana sia dal carattere religioso, sia da quello etico, quello che il suo allievo Teofrasto definisce essere l’oggetto dell’imitazione, ovvero “circostanza di una sorte eroica”.

Per spiegare questa formula sono necessarie le seguenti osservazioni:

1. in primo luogo, Aristotele considera le azioni degli uomini come materia da utilizzare/da imitare. L’essere materia implica una considerazione di non poco conto: se per Platone, l’oggetto dell’imitazione è il paradigma, il modello (un qualcosa dotato di realtà ontologica, superiore alla cosa imitante), per Aritstotele, invece, è la materia (un qualcosa non ancora dotato di una realtà ontologica). Questa dovrà assumere una forma che è il mito: a differenza della materia che è data, la forma è da fare (dal poeta) secondo alcune regole (forma organica, caratteri di unità-totalità, della necessità e dell’universitalità);

2. le azioni degli uomini si discostano dalle vicende tratte dal mito e dall’essere parte integrante del culto pubblico di Dioniso. Le potenze soprannaturali rimangono a livello di intervento della fortuna cui soggiacciono le sorti degli uomini; 

3. assieme alla prospettiva religiosa cade anche quella etica, dal momento che la vicenda tragica non è solo un’azione di colpa e punizione e redenzione, ma di errore e fortuna. La fortuna non è altro che il caso che, quando si fa significante per l’uomo, favorisce o contrasta una sua aspirazione (ecco perché Domenico Pesce suggerisce l’esempio di Merope: lo scambio di un figlio, motivato/immotivato da ignoranza, non genera nel giudizio che si ha dell’azine biasimo, ma perdono e pietà);

4. il coinvolgimento dello spettatore: la sorte, gioco della tragedia, intesa come momento supremo dell’esistenza, quando si decide della vita e della morte, crea coinvolgimento nello spettatore dal momento che questi momenti strazianti creano il pathos, impegnando intelletto e cuore;

5. il medium della poesia dovrebbe essere non solo il dialogo, ma anche la musica e la danza. Se questa è la forma esterna dell’imitazione, quella interna, la più importante, è costituita dalla strutturazione del contenuto.

Infine, quale è la funzione della forma poetica? Prima di tutto, la poesia produce piacere, intesa come attività (per Platone è movimento), è un qualcosa di neutrale che muta di valore a seconda della natura dell’attività, buona o cattiva, che si svolge in accompagnamento. Questa attività è l’imitazione. E qui, il nostro cerchio di analisi, trova una perfetta chiusa. Una conclusione che ha in sé uno slancio conoscitivo dal momento che essere spettatori di imitazione e interpretare imitazioni significa, in un certo senso, conoscere. E qui è possibile proporre due esempi. Da un lato, si prenda in considerazione l’attività di apprendimento dei bambini: continuamente loro imparano imitando. Dall’altro, la tragedia e la sua attività conoscitiva per eccellenza che altro non è che la catarsi. Mossi da pietà, perché le tragedie possono colpire persone innocenti, e da terrore, perché questi casi potrebbero colpire anche gli spettatori stessi, essendo davanti non al reale, ma all’imitazione di un possibile reale, gli spettatori possono dare libero sfogo alle loro emozioni ed escono da teatri più sereni e più pronti ad affrontare i casi della vita.

(ancora grazie alla magnifica introduzione del prof. Domenico Pesce, per me sempre più chiarificatoria)

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