domenica 2 gennaio 2011

A come Aristotele

Quale miglior modo per inaugurare il mio blog, se non riportarvi i miei commenti alla lettura del testo di LA POETICA di Aristotele? :)

Lo stagirita scrive La Poetica probabilmente tra il 334 e il 330 a.C. e il testo incompiuto rappresenza una delle prime trattazioni dell'arte distinta dall'etica e dalla morale. La fortuna del testo, infine, inizia proprio quando il predominio aristoteliano nel Medioevo stava tramontando.

Tre sono i termini che rappresentano i punti focali del testo: techne, poiesis e mimesis. Di questi, quello che a me interessa in maniera particolare è l'ultimo. Dall'introduzione al testo di Domenico Pesce (che ha curato anche la traduzione, la parafrasi e le note al testo) si trae uno spunto molto interessante: la doppia interpretazione del termine. Ora, se si prende in considerazione anche il pensiero di Platone, quest'ultimo e Aristotele avrebbero adoperato il termine ora riferendosi al genere ora alla specie.

In Platone la distinzione è da ricondursi da un lato a "quello che" i poeti dicono - piano del logos e del mythos - dall'altro a "come" lo dicono - piano della lexis. Considerando proprio quest'ultimo punto, mimetico è soprattutto la forma di rappresentazione drammatica, ovvero quella in cui il poeta non compare mai in prima persona, ma per lui parlano e agiscono i personaggi che egli ha creato. Questo è il significato specifico di mimesis, mentre quello generico è da riferirsi a ogni poesia, ma anche pittura e musica.

Ultime due osservazioni su Platone:
1. c'è un terzo e ultimo significato riferito all'imitazione, ovvero quello metafisico, in quanto la poesia sarebbe "imitazione di imitazione" o "imitazione di secondo grado". Considerando il termine ultimo che è sempre l'Idea, si distinguono due livelli ontologici: il primo è quello di una forma di imitazione parallela tra uomo e natura, il secondo fa riferimento propriamente all'arte che di conseguenza diventa una forma imitativa che imita a sua volta quello della natura;
2. il perfetto parallelismo tra gnoseologia e ontologia. Anche quando siamo a livello dell'imitazione di secondo grado, nell'uomo, artefice della propria opera imitativa, deve esserci conoscenza, anche se questa, per il suo rivolgersi al mondo sensibile, si mantiene a livello dell'opinione e che nella scala del sapere è propriamente "fede". Di conseguenza al grado di conoscenza (fede e opinione), Platone fa corrispondere un certo grado di essenza (ontologia) nell'oggetto prodotto. Proprio in questo caso, l'oggetto perde ogni relazione con l'essenza diventando phantasma, qualcosa di completamente svuotato delle strutture delle cose cui si riferiscono. Gli oggetti artistici sarebbero, dunque, mere superfici visive senza spessore ontologico di cui si è persa la traccia dell'essenza intelleggibile.

Aristotele elimina la trascendenza dell'Idea e ogni valenza ontologica alla nozione di imitazione, attribuendole un uso descrittivo e un significato diverso a quello platoniano.
Per quanto riguarda il significato generico, Aristotele prende in considerazione proprio il secondo livello platoniano: l'arte imita la natura non copiandola, ma attraverso processi umani di modellizzazione che seguono quelli della natura. In questo caso si trova il parallelismo tra la produzione artistica e la generazione naturale nei termini di fine, mezzi e nel rispetto di un certo ordine nella successione degli stadi del processo. La differenza risiede nel binomio trascendenza e immanenza: se il principio di movimento e l'agente per la natura risiedono "in altro", "all'esterno" del processo, nell'arte è immanente, è all'interno del processo (la forma dell'arte preesisterebbe nella mente dell'artista).

L'uomo, guidato dalla ragione, genera l'arte che, nel suo significato specifico, è poesia. Ultime due osservazioni che riguardano due principi fondamentali che legano Aristotele all'arte e alla poesia:
1. il principio di assoluta oggettività: l'arte è attività guidata dalla ragione;
2. il principio della forma da cui deriva il primo principio. In questo caso Aristotele fa riferimento al processo di modellizzazione, al fatto che l'arte è "abito produttivo accompagnato da logos, ma anche all'immagine di poeta/pittore come fabbricante di immagini.

Ed è proprio quest'ultima annotazione che rende evidente la differenza tra Platone e Aristotele. Se in Platone l'oggetto artistico era phantasma, in Aristotele diventa abito inteso come rimando ad altre cose cui somigliano. Infatti, se in Platone l'immagine era vuote, in Aristotele è piena e ha anche una sua specifica potenzialità, ovvero quella di rimandare alla cosa cui somiglia.

Queste, in sintesi le annotazioni che ho recuperato dal testo e dall'introduzione che mi hanno permesso di comprendere diverse sfaccettature del pensiero greco attorno alla nozione di mimesis. 
 

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