venerdì 7 gennaio 2011

L'Ippia Maggiore: "le cose belle sono difficili"

(alcuni passi)
SOCRATE: Ma è certo chiaro che la questione la conosci più a fondo, tuttavia, caro mio, rifletti: infatti ti chiede non che cosa sia bello ma che cosa sia il bello.

IPPIA: Capisco, caro mio, e gli risponderò che cosa è il bello e non sarò mai confutato. Infatti, Socrate, sappi bene che, se occorre dire la verità, una bella ragazza è una cosa bella.

SOCRATE: Per il cane, Ippia, hai risposto bene, anzi eccellentemente. Forse, se io rispondo in questo modo, avrò risposto correttamente alla domanda e non sarò mai confutato?

IPPIA: Socrate, come potresti essere confutato su ciò che è condiviso da tutti e di cui tutti coloro che ascoltano confermeranno che parli correttamente?

SOCRATE: E sia: senza dubbio le cose stanno così . Su, Ippia, imparo tra me e me ciò che dici. Egli mi interrogherà pressapoco così : "Su Socrate, rispondimi: tutte queste cose che tu dici essere belle sarebbero belle dal momento che esiste il bello in sé?". Io dunque gli risponderò che se una bella fanciulla è una cosa bella, esiste ciò per cui queste cose sarebbero belle?

IPPIA: Credi dunque che egli tenterà ancora di confutarti provando che non è bello ciò che dici o forse, qualora tentasse di farlo, non si renderebbe ridicolo?

SOCRATE: So bene che tenterà, ammirabile amico, e se dopo averci provato risulterà ridicolo, saranno le circostanze stesse a mostrarlo. Voglio riferirti ciò che certamente dirà.

IPPIA: Parla.
SOCRATE: "Come sei piacevole", dirà, "Socrate. Non è una cosa bella una bella cavalla, che anche il dio ha lodato nell'oracolo?". Cosa diremo, Ippia? Non dobbiamo forse ammettere che anche la cavalla, almeno quella bella, è cosa bella? Infatti come oseremmo dire che il bello non è bello?

IPPIA: Dici il vero, Socrate; dunque anche il dio ha parlato correttamente, poiché da noi ci sono cavalle veramente belle.

[…]

SOCRATE: Lo vorrei, ma esamina il problema con me: si potrebbe fare ciò che non si sa e che non si è assolutamente capaci di fare?

IPPIA: Assolutamente no: come si potrebbe fare ciò che non si è capaci di fare?

SOCRATE: Pertanto quelli che sbagliano, che commettono azioni disoneste e lo fanno involontariamente non l'avrebbero mai fatto, se avessero potuto non farlo?

IPPIA: Evidentemente.

SOCRATE: Ma quelli che possono ne sono in grado in virtù della loro capacità e non certo della loro incapacità.

IPPIA: No di certo.

SOCRATE: Tutti quelli che fanno ciò che fanno, possono farlo?

IPPIA: Sì .

SOCRATE: Ma tutti gli uomini, iniziando fin da bambini, fanno molto più male che bene e sbagliano involontariamente.

IPPIA: è così .

SOCRATE: E allora? Diremo dunque che questa possibilità e queste cose utili, la cui utilità è però finalizzata a ottenere qualcosa di male, sono belle o sono molto lontane dall'esserlo?

IPPIA: Sono molto lontane, credo, Socrate.

SOCRATE: Dunque, Ippia, il possibile e l'utile per noi, a quanto sembra, non sono il bello.

IPPIA: A meno che non possano agire bene ed essere utili a ciò, Socrate.

SOCRATE: Dunque va scartata quella tesi che il possibile e l'utile siano in una sola parola il bello: è questo allora, Ippia, che voleva dire la nostra anima, cioè che il bello è l'utile e la capacità di fare qualcosa di buono?

IPPIA: A me sembra che le cose stiano così .

SOCRATE: Ma questo è vantaggioso o no?

IPPIA: Certo.

SOCRATE: Così i bei corpi, le buone leggi, la sapienza e quanto dicevamo prima sono tutte cose belle poiché vantaggiose.

IPPIA: è chiaro.

SOCRATE: Dunque crediamo che il vantaggioso sia il bello, Ippia.

IPPIA: Certo, senza dubbio è così .

SOCRATE: Ma il vantaggioso è ciò che ottiene il bene.

IPPIA: Sì .

SOCRATE: E ciò che produce non è altro che la causa, non è vero?

IPPIA: Sì .

SOCRATE: Il bello dunque è causa del bene.

IPPIA: Sì .

SOCRATE: Ma la causa, Ippia, e ciò di cui la causa è causa sono diversi, perché la causa non potrebbe essere causa della causa. Pensala così : non è chiaro che la causa è ciò che produce?

IPPIA: Certo.

SOCRATE: Ebbene, da ciò che produce non è prodotto forse altro che l'effetto e non certo la causa?

IPPIA: è così .

SOCRATE: Quindi una cosa è l'effetto, un'altra è ciò che lo produce?

IPPIA: Sì .

SOCRATE: Pertanto la causa non è causa della causa, ma dell'effetto prodotto da essa stessa.

IPPIA: Certo.

SOCRATE: Se dunque il bello è causa del bene, il bene scaturisce dal bello e per questo, a quanto pare, prendiamo sul serio l'intelligenza e tutto quanto c'è di bello, perché ciò che essi producono e generano, cioè il bene, è degno di essere perseguito e forse, in base a quello che scopriamo, il bello ha l'aspetto di padre del bene.

[...]
IPPIA: Ma, Socrate, cosa credi che sia tutto questo? Sono frammenti e ritagli di discorsi, cosa che appunto dicevo poco fa, divisi in piccoli pezzi. Ma ciò che è bello e importante è essere in grado di andarsene riportando non i premi più piccoli ma quelli più importanti, cioè la salvezza propria, dei propri beni e dei propri cari, dopo aver pronunciato perfettamente bene un discorso in tribunale o nell'assemblea o davanti a qualsiasi altra autorità a cui il discorso sia indirizzato e dopo aver persuaso l'uditorio. Di questo dunque bisogna preoccuparsi, lasciando perdere questi frammenti di discorso per non essere considerato troppo sciocco poiché ti occupi, come ora, di chiacchiere e di stupidaggini.

SOCRATE: Caro Ippia, sei fortunato, poiché sai ciò di cui l'uomo deve occuparsi e a cui tu ti sei dedicato in modo adeguato, come dici. Io invece, come pare, sono posseduto da una sorte divina e vado errando e sono sempre in difficoltà, e quando paleso la mia difficoltà a voi sapienti, quando la manifesto, sono insultato dai vostri discorsi. Infatti mi dite ciò che ora tu mi dici, cioè che mi occupo di minuzie stupide e prive di valore. Ma quando, persuaso da voi, dico ciò che dite voi, cioè che la cosa migliore è essere in grado di comporre perfettamente bene un discorso e di esporlo in tribunale o in qualche altra assemblea, sento ogni genere di offesa dagli altri uomini di qui e da quest'uomo che sempre mi confuta. Egli è il mio parente più stretto e abita nella mia stessa casa: quando dunque torno a casa mia e mi sente dire queste cose, mi chiede se non mi vergogno di osar discutere sulle belle occupazioni, confutandomi così palesemente perché non so neppure cosa sia mai il bello in sé: "E come potrai sapere", dice, "quale discorso sia stato composto bene o no o qualsiasi altra azione sia bella o no, se non conosci il bello? E dal momento che sei in questo stato, credi che per te sia meglio vivere o morire?". Cosa che appunto dico, a me è capitato di sentirmi biasimato e insultato da voi e da lui. Ma forse è necessario che io sopporti tutto ciò, poiché non sarebbe strano se ne ricavassi qualche vantaggio. Comunque mi sembra, Ippia, di aver ricavato un vantaggio dalla conversazione con voi due, infatti credo di sapere cosa vuol dire il proverbio: le cose belle sono difficili.

(testo recuperato dal web)

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