martedì 18 gennaio 2011

La Repubblica di Platone: tassello n° 1


Nel libro I di La Repubblica, Platone argomenta il tema della giustizia: perché la giustizia dovrebbe interessarmi nel mio discorso dell’arte imitativa? Secondo me perché parlare di giustizia, significa inevitabilmente mettere sul fuoco una serie di concatenamenti logici in cui compaiono i discorsi sui governanti, sulle passioni e sull’educazione.

Il primo libro inizia proprio con una riflessione conviviale che Socrate fa ricordando un dialogo di Sofocle in cui si riporta che alla domanda “Sei ancora in rapporti intimi con una donna?”, Sofocle risponde affermando di essere molto contento della sua attuale libertà dal padrone-corpo, rabbioso e intrattabile. Libertà che Socrate definisce come “liberazione da molti e pazzi padroni” che riguarda e interessa non solo i vecchi, ma anche i giovani (c, d – I, 329).

Si entra poi nella discussione sulla giustizia con Trasimaco: per questo, la giustizia sarebbe prima l’utile del più forte, ovvero chi governa uno stato, ma Socrate controbatte affermando che anche i governatori possono sbagliare. Tuttavia, secondo il primo è impossibile che i governanti sbaglino, proprio come l’artigiano che svolge il proprio lavoro giustamente, in virtù della sua competenza. E in questo caso, Socrate obbietta affermando che ogni arte si propone non già il proprio utile, ma l’utile di ciò di cui si occupa e sui cui esercita il proprio governo (l’oggetto).

In questo caso, bisogna fare attenzione a non confondere questo tipo di arte, con quella pittorica o poetica: qui Socrate sta facendo riferimento all’arte di produrre o fare qualcosa in base alle proprie conoscenze (quindi potrà essere l’arte della medicina, dell’ingegneria e della vita di mare). Per ogni singola arte esiste la sua perfezione, il suo utile: ad esempio, l’utilità della medicina è quella di assistere al corpo che, da solo, non basta a sé stesso. Nello stesso modo, il ragionamento vale anche per il governatore: “tutte le sue parole e azioni hanno questo scopo e sono in funzione dell’utilità e della convenienza del suddito” (e – I, 342-343).

Il problema della giustezza verte poi sulla questione dell’arte mercenaria. Secondo Socrate, il vero uomo politico non deciderebbe di governare per mercede o per propria utilità perché sa che il suo compito è di servire i sudditi e giovare a loro: qualora lo facesse, sarebbe perché si troverebbe sotto costrizione o perché non vorrebbe al governo uno peggiore di lui. Il fatto è però che l’ingiustizia impedisce agli uomini di agire concordemente e quindi indebolisce la loro azione

Ma la giustizia è una virtù o un vizio? La possiede l'infelice o il felice?

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