E’ vero, volevo terminare il mese di Gennaio terminando, grosso modo, la mia breve raccolta di materiale sul concetto di mimesis nel periodo greco. In realtà non è andata proprio così perché mi sono imbattuta in una traduzione sul web di un libro che sto cercando da più di un anno nella traduzione inglese (naturalmente aprendo questa traduzione si sono automaticamente aperti 5 altri articoli e 5 libri…storia infinita!).
Bene…procederò in questo modo. Stasera riporterò le riflessioni che ho trovato nella traduzione e da domani in poi mi spezzerò in due in modo tale che in due settimane possa leggere i 10 documenti che ho trovato e iniziare un nuovo periodo di analisi.
Preciso che la traduzione trovata sul web, è possibile ritrovarla seguendo questo link:
A sua volta, il testo visualizzato è una traduzione di alcune pagine del testo di H. Koller, Die Mimesis in der Antike, Berna, Francke, 1954 (pp. 9-11, 119-121, 210-214).
Ho due premesse ancora da fare:
1. in primo luogo, leggendo sia il testo di Aristotele sia i testi di Platone, mi sono accorta che pur facendo riferimento a un unico nucleo tematico, la mimesis, in realtà i due autori non mi sembravano parlare e discutere sullo stesso argomento;
2. in secondo luogo, ho sempre avuto la convinzione che noi, lettori, studiosi, ricercatori, non potremo mai comprendere a fondo la cultura e dunque anche la filosofia di un periodo storico così lontano e così tanto studiato. Questo, naturalmente, non vuole dire che non si debba continuare approfondendo l’argomento!
Secondo l’autore, Koller, il centro significativo del termine mimesis è da ricercare nella danza o “condurre attraverso la danza alla rappresentazione”. Bisogna ricordarsi che per danza non si può avere come punto di riferimento il nostro balletto occidentale, bensì una concordanza tra ritmo, accompagnamento musicale e parola narrante. Era un rito orgiastico e probabilmente una funzione importante nel determinare il significato di mimesis è da ricercare nell’attore e nella maschera del dramma cultuale dionisiaco in una rappresentazione danzata. Questa danza era una naturale espressione umana, anche con la presenza della parola/logos.
Col passare del tempo, poi, questa unità si dissolve, perde una delle sue componenti: in una delle recitazioni dei satiri di Pratina il coro si oppone all’aulos assumendo il ruolo di guida. In questo modo, la posizione solistica del ditirambo conduce a forme completamente nuove: una sempre più completa autonomia della melodia e un deprezzamento della parola. Ecco perché il ditirambo diventa sempre più parlato e sempre meno danzato.
Alcuni ritengono che questo cambiamento nella cultura musicale sia dovuto a una serie di cambiamenti politici che portarono portarono con sé un indebolimento delle antiche forme d’esercizio musicale.
Ma ritorniamo al significato originario di danza ed espressione musicale come unione (non addizione) di ritmo, armonia e logos. Questa forma di rappresentazione era altamente pedagogica, soprattutto nei Pitagorici, poiché la musica poteva condurre a un momento catarchico in cui l’aulos puntava direttamente sulla coscienza dell’uomo.
Non bisogna dimenticare poi che la musica e la danza sono state, e in un certo senso lo sono ancora, espressioni il cui animo umano era predisposto naturalmente e primordialmente. Cantare e ballare per gli dei era un modo per venerarli (Hyporchemata). I primi cantori, inoltre, potevano essere “contemporaneamente veggenti e saggi, che con la loro musica fondavano anzitutto la comunità umana, facendo leva sul senso del controllo ritmico e dell’ordine degli impulsi, sonnecchiante in ogni essere umano” (cit. dal testo del web).
Ora proprio da questo significato originario si dirameranno due sensi della mimesis da intendersi come da un lato imitazione e dall’altra rappresentazione. Riporto qui sotto la tabella che ho trovato sul sito.
Ecco che si comprende la mia prima premessa: la mimesis non può essere solamente traducibile come imitazione perché ne comprende solo una piccola parte del significato attribuito dal mondo greco.