(appunti tratti dal testo di Jacques Rancière, Il destino delle immagini, Pellegrini, 2003, pp. 7 – 62)
Nella lettura delle note di alcuni testi, ho incontrato anche questo di cui riporto alcune riflessioni che propriamente non riguardano il Rinascimento e l’Umanesimo, ma che ritengo interessanti.
I REGIMI DELL’IMMAGINE
Esistono secondo l’autore due principali regimi, quello dell’estetica classica e quello dell’estetica moderna.
Nell’estetica classica, a partire da Aristotele in poi, si è sviluppato un regime definibile come mimetico caratterizzato da:
- rapporto fra costruzione dell’intreccio (mythos) e azione (praxis), il primo inteso come mimesis praexeos;
- concezione della forma come principio attivo da applicare alla passività della materia;
- forte attività dell’idea (dicibilità) e ricettività della materia (visibilità).
Nell’estetica moderna (a partire da Kant in poi), invece, qualcosa cambia qualcosa:
- forte rilievo sulla parte attiva inscritta nella passività stessa della materia, per esempio, nella sua capacità di mantenere la forma che gli è stata imposta, e viceversa, di quanto di passivo appartiene all’attività (alla costruttività ) dell’operare artistico, segnato da un debito costitutivo nei confronti del mondo;
- esiste un processo di differenziazione di una unità virtuale e il soggetto non è che un evento singolare di questo processo di differenziante e individuante. L’idea di un processo continuo di differenziazione si contrappone alla dialettica tra soggetto e oggetto, attivo e passivo;
- l’identità dell’attivo e del passivo, la sovranità della forma si converte nel divenire passivo dello sguardo sulle cose.
Il passaggio dal regime mimetico a quello estetico è segnato dal superamento dell’idea di immagine come deposito di segni e di codici da individuare e decifrare, ma anche dal superamento dell’idea di un processo redentivo delle immagini stesse, restituite alla loro naturale presenza.
Per comprendere il concetto di Rancière bisogna ricordare che per lui l’immagine è operazione:
che si costruisce a partire dalla relazione tra il visibile e il dicibile, e dall’alterazione del loro rapporto negozio nato nella somiglianza iconica e nella concatenata (conseguente allo stesso tempo) verosimiglianza narrativa
(pp. 10 – 11)
Il regime rappresentativo dell’arte non è quello in cui l’arte ha per compito di produrre delle somiglianze. E’ il regime in cui le somiglianze sono sottoposte ad un triplice vincolo: un modello di visibilità della parola che nello stesso tempo organizzi un certo contenimento del visibile; una taratura dei rapporti tra effetti di sapere e effetti di pathos, governata dal primato dell’azione, che identifica il poema o il quadro ad una storia; un regime di razionalità proprio della finzione, che sottrae i suoi atti di parola ai criteri di autenticità e di utilità normali delle parole e delle immagini per sottometterli a criteri intrinseci di verosimiglianza e adeguatezza. Questa separazione tra la ragione delle finzioni e la ragione dei fatti empirici è uno degli elementi essenziali del regime rappresentativo
(p. 16)
Questo è il regime mimetico dell’immagine, regime rappresentativo, dove una somiglianza viene funzionalizzata narrativamente.
E’ applicabile tutto ciò al mio discorso della replicazione, intesa come pratica da applicare a un qualsiasi testo? Penso di sì.
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