domenica 12 giugno 2011

Naugerius sive de poesia, parte I

(Girolamo Fracastoro, Navagero: Della poetica, Alinea Editrice, 2005, pp. 7- 28, pp. 36 – 42)

Mi sono imbattuta in un testo estremamente interessante, il Navagero di Girolamo Fracastoro. Il motivo per il quale mi interessa è che rappresenta una mediazione tra le teorie estetiche di Platone e Aristotele.

Diversi sono i temi affrontati (l’imitazione, il piacere, il bello, l’utilità, soggetto e oggetto, ma anche forma e contenuto della poesia) e diversi sono i testi di riferimento (lo Ione, la Repubblica, il Fedro e il Simposio di Platone, la Poetica di Aristotele, l’Ars Poetica di Orazio, El libro dell’Amore di Marsilio Ficino, ma anche l’Eneide e le Georgiche di Virgilio).

Vorrei cercare di capire se effettivamente deve esistere una contrapposizione tra aristotelismo e platonismo.

Vorrei riportare la tesi conclusiva che ho trovato nel testo che ho citato (pp. 8 - 9):

Gioia della creazione poetica e intuizione dell’idea del bello come facoltà esclusiva della poesia; tenebroso messaggio di un’inarrestabile vicissitudine di vita e morte dalla razionale disamina del divenire nel mondo sublunare […] E’ l’uomo, e soltanto l’uomo, che elabora una conoscenza di sé e del mondo come entità “belle”, in conseguenza dell’appurata e definita armonia cosmica, che di tale bellezza, e della possibilità di comunicarla, rende capace il poeta preso dall’ispirazione e che, proprio attraverso questo entusiastico ammiratore, la discopre all’interno di una realtà che, di per sé, nasconde, al di là del seducente sorriso, una horrida facies di annientamento e di morte, che la speculazione filosofica constata come reale e insuperabile

Quello che si dovrà capire è che non solo c'è una saldatura tra l'ars poetica di Aristotele e la dottrina platonica del furore e dell'ascesa del bello, ma anche una certa contrapposizione tra poesia e filosofia. 

Continuo ancora con una serie di citazioni tratte dal testo qui sopra (pp. 10 - 11):

La dottrina dell’imitazione diventa lo strumento per manifestare quell’irrefrenabile furor, per codificarlo, rendendolo tramite per la ricerca e la manifestazione del Bello. Si tratta di una Bellezza in re, insita nella concezione fracastoriana di una armonia che è nelle cose, che costituisce la trama latente del reale, ma che non può più essere rivelata dalla filosofia della natura o dalla magia, ma solo dal poeta, nuovo ed unico vincolo tra mondo terrestre e divino, ultimo magnum miraculum. […] La parola del poeta, ricercata […] diventa il nuovo verum che relega in una superata apparenza l’eterno divenire di nascita e morte e lo trasforma nel processo di manifestazione di una Bellezza immanente, di una Bellezza viva, che solo la poesia è in grado di disvelare. Il divino è così sceso nella natura: l’archetipica idea del Bello è ora nelle cose, anche se in esse celata, seppur pronta ad essere percepita e manifestata dal poeta, rivestito delle disgnità di unico essere nel cosmo, […], che tale Bellezza, che è nella natura, o, meglio, che è la Natura pur nella sua transeunte caducità, riesce a contemplare e a manifestare.

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