Ci sono due caratteristiche che il testo che prendo in considerazione ha sottolineato: da un lato la cesura con cui molti umanisti concepirono in modo programmatico il loro tempo e la dimensione conflittuale della loro riflessione in ogni ambito.
Prendiamole in considerazione.
In primo luogo, il carattere della cesura è fortemente collegato con il periodo precedente: il medioevo. Ne sono una testimonianza le grandi discussioni sul rapporto tra vita attiva e vita contemplativa che percorse il Rinascimento italiano e le meditazioni sulla storia di Machiavelli e Guicciardini. Si ricercava, insomma, un nuovo modo di vivere il pensiero e l’azione per i quali, effettivamente, il Rinascimento compì il suo ruolo di epoca mediana tra il Medioevo e l’età moderna. Bisogna precisare, però, che gli imperativi di rottura e di rinnovamento non si svilupparono in Europa né nello stesso momento né con gli stessi caratteri: al contrario furono elaborati in stretta connessione con le singole tradizioni culturali e religiose, poiché il Rinascimento fu attraversato dall’esigenza di ripensare i rapporti fra il divino e l’umano da un lato, fra l’umano e l’animalità dall’altro (la Riforma protestante, credenze astrologiche diffuse, ecc.).
In secondo luogo, l’attività di pensiero e interpretativa viene intrapresa con un’inclinazione conflittuale: si parla di conflitto interpretativo in cui ogni posizione viene è messa alla prova nelle dispute e si contraddistingue per la sua capacità di resistere alle critiche. Ci sono commenti, lettere, trattati, opere d’arte in cui molte sono le riflessioni approfondite sulla natura e il fine dell’arte, sul senso dell’operare umano, sulle condizioni di giudizio sui valori, sul rapporto fra la natura e l’arte. Ecco allora che si comprendono meglio le interpretazioni della Poetica di Aristotele nel Cinquecento o la querelle della poesia di Ariosto. Questa dimensione conflittuale rinvia a un pensiero che sta ricercando nelle sue metodologie, nei suoi oggetti una propria identità.
Pensare e giudicare con o contro una certa tradizione è la via per l’autonomia del giudizio. |
Il termine tradizione che ho messo in grassetto indica il termine di riferimento di tali riflessioni.
Nulla è più estraneo agli umanisti del pensare astratto o logicamente formale, ma è loro familiare dialogare tanto con i morti, quanto con i posteri, così come Petrarca e Machiavelli. La lezione degli antichi è fondamentale. L’agire umano non rinvia a un soggetto ancora autonomo e moderno, capace per autoriflessione di sottrarsi ai condizionamenti storici e linguistici, ma all’idea di una possibile e relativa autonomizzazione attraverso il saper fare, acquisito soprattutto grazie al riferimento degli antichi.
Ma quali sono i caratteri dell’imitazione in questo periodo?
Sicuramente l’imitazione, sia in poesia sia in pittura, è fortemente legata alla natura, sia quest’ultima perfetta o mancante. Portare a compimento un’opera, nella maniera più perfetta, significa avere come riferimento la natura.
A questo ruolo dell’imitazione, si aggiunge il fatto che la natura del Rinascimento è il più delle volte la natura messa in opera e trasmessa dalla tradizione. La descrizione mimetica della natura, intesa nella sua varietà e immediatezza, sono temi poetici (Poliziano e Ronsard) in cui si esercita da un lato il talento e la tecnica dell’autore, dall’altro la dissimulatio artis, ovvero la capacità di mettere in forma un effetto di immediatezza, di naturalità, che è dovuto a un artificio sottile, ma dissimulato, perfino segreto.
IMITAZIONE => NATURA (varietà e immediatezza) E TRADIZIONE CLASSICA => OPERA COME PERFEZIONE |
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