martedì 26 luglio 2011

Inghilterra: Lockiani e non Lockiani? (parte II)

Continuando il post precedente, vorrei riprendere con gli ultimi due autori. 

David Hume è stato un autore di enorme importanza nel settecento. Prima di passare al testo di riferimento, La regola del gusto, vorrei soffermarmi su alcuni punti essenziali di questo filosofo. 

Nella sua analisi della conoscenza umana, Hume divide le percezioni in due classi: da un lato ci sono le impressioni e dall'altro le idee. Le prime sono percezioni che penetrano con maggior forza ed evidenza nella conoscenza (sensazioni, passioni ed emozioni) e le seconde sono le immagini illanguidite di queste impressioni. Se la percezione è per esempio quella del dolore, l'idea è l'immagine che noi abbiamo in memoria di questo dolore. Ogni idea deriva dalla corrispondenza impressione e non esistono idee o pensieri di cui non si sia avuta precedentemente l'impressione. Cosa significa questo? Significa da un lato limitare la libertà di pensiero, ma dall'altro lato per spiegare la realtà del mondo e dell'io, ad esempio, l'uomo non ha a sua disposizione se non le impressioni, le idee e i loro rapporti. 

Quale è la conseguenza? E' sicuramente che non esistono idee astratte, ma solo idee particolari assunte come sengi di altre idee particolari ad esse simili. Per spiegare la funzione del segno, cioè la possibilità di un'idea di richiamare altre idee simili, Hume ricorre a un principio di cui si servirà largamente in tutte le sue analisi: l'abitudine. Quando abbiamo scoperto una certa somiglianza tra idee che per altri aspetti sono diverse (ad esempio, tra le idee di diversi uomini e di diversi triangoli), noi adoperiamo un unico nome (uomo o triangolo) e formiamo così l'abitudine. In questo modo si forma l'abitudine a considerare queste idee unite da un unico nome, fino a che il nome stesso non risveglierà in noi non una sola di quelle idee, ma l'abitudine che abbiamo a considerarle insieme. 

Vorrei ora considerare cosa per Hume è l'immaginazione. Questa è proprio la facoltà di stabilire relazioni fra idee: questa opera liberamente, ma non è affidata al caso perchè anche nei sogni, troviamo una connessione tra le diverse idee che si succedono l'una con l'altra. Questa connessione è stabilità grazie a un principio di associazione che si basa su tre criteri fondamentali, somiglianza, contiguità e causalità. Ad esempio, con la somiglianza, noi rapportiamo un ritratto con il suo originale.

Detto questo, passiamo a La regola del gusto (1757) e vediamo cosa Hume afferma nel settore dell'estetica (il testo che ho trovato si intitola On the Standard of Taste all'interno di Four dissertations: I. The natural history of religion. II. Of the passions. III. Of tragedy. IV. Of the standard of taste, pp. 239 - 273).
Secondo il filosofo alla base delle valutazioni estetiche vi è il sentimento. La bellezza, infatti, non può essere definita intellettualmente, ma la si può comprendere mediante il gusto
Ma quante bellezze esistono? Poichè la bellezza esista solo nello spirito che la contempla, sembrerebbe che ogni spirito percepisca una bellezza differenze ("the sentiments of men often differ with regard to beauty and deformity o all kinds", p. 239 - "Beauty is no quality in things themselves: it exists merely in the mind which contemplates them; and each mind perceives a different beuty", p. 252). Questo è vero, ma esiste un criterio generale di approvazione o di biasimo, cioè un senso comune che restringe il valore della tradizionale espressione "dei gusti non si può discutere". Ora questo criterio è valido, ma non può essere fissato mediante ragionamenti a priori o astratte conclusioni dell'intelletto ("It is evident that none of the rules of composition are fixed by reasonings a priori", p. 253). 

In each creature there isa sound and a defective state; and the former alone can be supposed to afford us a true standard of taste and sentiment. If, in the sound state of the organ, there be an entire or a considerable uniformity of sentiment among men, we may thence derive an idea of the perfect beauty; in like manner as the appearance of objects in daylight, to the eye of a man in health, is denominated their true and real color, even while color is allowed to be merely a phantasm of the senses (p. 256)

Si può determinare il criterio del gusto solo ricorrendo all'esperienza e all'osservazione dei sentimenti comuni della natura umana, senza pretendere che in ogni occasione i sentimenti degli uomini siano conformi a quel criterio. La condizione umana che rende possibile l'apprezzamento della bellezza è soprattutto la delicatezza dell'immaginazione ("One obvious cause why many feel not he proper sentiment of beuty, is the want of that delicacy of imagination which is requisite to convey a sensibility of those finer emotion", p. 257). E' questa delicatezza che fa avvertire immediatamente nell'oggetto estetico le qualità che sono più adatte a produrre il piacere della bellezza. Altre condizioni sono la pratica e l'assenza di pregiudizi

Tutta questa spiegazione verte su un'analisi dei sensi: proprio come gli organi sensibili sono uniformi (vedono cioè gli stessi colori o simili difetti) anche il gusto si modellerà in una tale direzione, sia pure esclusivamente presso gli esperti (i critici) che potranno generalizzare il gusto attraverso regole fondate su ciò che è stato in grado di suscitare.

Thus, though the principles of taste be universal, and nearly, if not entirely, the same in all me; yet few are qualified to give judgement on any work of art, or estabilish their own sentiment as the standard of beauty. The organs of internal sensation are seldom so perfect as to allow general principles their full play, and produce a feeling correspondent to those principles. (p. 265)

It is sufficient for our present purpose, if we have proved, that the taste of all individuals is not upon an equal footing, and that some men in general, however difficult to be particularly pitched upon, will be acknowledged by universal sentiment to have a preference above others. (p. 266)


Il secondo autore è Edmund Burke con il testo, totalmente rintracciabile on line, Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757). Empirista e, dunque, come Hume fortemente legato ai poteri dell'immaginazione e alle funzioni del gusto, Burke rivolge le sue attenzioni alle passioni e ai sentimenti, in particolar modo al piacere e al dolore (simple ideas, incapable of definition), e alle connessioni che questi hanno con la natura e con l'arte. Come vedremo, il discorso di Burke si propone in toni leggermente diversi: intravede il dolore e quella soglia di confine che uno sente tra la piccolezza e la grandezza delle cose. 

Ora, il piacere e il dolore, secondo Burke, hanno nella loro più semplice e naturale essenza una natura positiva e non necessariamente dipendono l'uno con l'altro per la loro esistenza. Sono relazioni che possono esistere solo come elementi contrastanti, ma non dipendo l'uno sull'altro. 

A volte si pensa che la rimozione del dolore sia un piacere positivo, in realtà, non sempre è così e per ottenere una prova basta che ognuno di noi si ricordi dell'ultima volta che ha provato dolore. Se prendiamo il caso contrario, quello della cessazione del piacere, è possibile affermare che le conseguenze sullo stato della mente sono tre:
  1. indifferenza, se c'è poca differenza tra lo stato di prima e quello del dopo;
  2. delusione, se c'è una rottura netta;
  3. afflizione, se il soggetto si sente perduto.
Se il piacere positivo viene tradizionalmente accostato alla bellezza, esiste tuttavia anche un piacere ambiguo, che si mischia con il dolore e origina quel che Burke chiama sublime. 

Whatever is fitted in any fort to excite the ideas of pain and danger, that is to say, whatever is in any sort terrible, or is conversant about terrible objects, or operates in a manner analogous to terror, is a fource of the sublime (p. 47)

Il sublime è una delle più forte emozioni che una mente umana possa sentire e provare, questo perchè per Burke le idee connesse al dolore (tra cui i tormenti)  sono molto più potenti di quelle connesse al piacere. Burke cita spesso la grandezza degli edifici, ma anche la piacevole infinità degli oggetti, la magnificienza, la luce, ecc.

Con il sublime siamo in un campo leggermente diverso: questo concetto spezza il cerchio delle poetiche classiciste e mostrare le questioni delle facoltà soggettive di fronte all'oscurità del mondo delle passioni, che originano un universo espressivo che le regole del classicismo, o di una bellezza armonica, non sono più in grado di spiegare.

Prima di concludere, vorrei riportare le osservazioni di Burke in merito alla seconda passione legata alla società, ovvero l'imitazione (le altre due sono simpatia e ambizione). L'imitazione è un desiderio, un'affezione che porta l'uomo a copiare, spesso senza l'intervento della ragione. Tipico esempio è il dipinto e la pittura l'arte che per eccellenza si fonda sull'imitazione. Quando un oggetto rappresentato in poesia o nei dipinti è quello che desideravamo nella realtà, allora abbiamo l'impressione che la poesia e la pittura posseggano tale potere, quello di imitare. Quando, però, l'oggetto rappresentato è fortemente somigliante a quello della realtà, allora il potere di queste arti è più connesso alla natura della cosa stessa che dell'effetto dell'imitazione o dell'imitatore.

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