giovedì 20 settembre 2012

Foucault: l'archeologia del sapere


Siamo giunti ormai al termine della disamina - seppur parziale - della questione della mimesis nel Novecento. Dopo Nietzsche (anche se uomo e filosofo dell'Ottocento), Derrida, Benjamin e Deleuze, è secondo me corretto terminare con Foucault. 

Il sapere e l'archivio: si riscrive e si creano
Là dove si è raggiunto il punto estremo della differenza, tutto non solo è uguale, ma tutto torna, anche sotto forma di archivio. Inteso come deposito del sapere e patrimonio collettivo, il concetto di archeologia del sapere di Michel Foucault (1926-1984), all’interno di questa trattazione, può essere inteso come una riscrittura, ovvero una trasformazione regolata di ciò che è già stato scritto ([Foucault, L’archeologia del sapere, Milano, Rizzoli, 1980], p. 185).

La relazione temporale tra testi è letta in termini di positività ([Foucault, 1980], p. 168) ovvero come possibilità di definire spazi di comunicazione manifestando delle identità formali, delle continuità o discontinuità tematiche, cioè condizioni di realtà per gli enunciati ([Foucault, 1980], p. 170). Una serie di enunciati o meglio un sistema di enunciati che hanno in comune questo spazio di comunicazione diventa archivio. Se un enunciato appartiene all’archivio allora è diventato evento e pertanto trova la sua enunciabilità all’interno del sistema ([Foucault, 1980], p. 174). 

Il concetto di archivio, in queste brevi parole, sembra ricordare il fond sans fond di Derrida (Derrida: la scrittura comepharmakon (parte II)), una porta sempre aperta verso l’infinito o come direbbe Deleuze un oceano per tutte le gocce. Anche per Foucalt esiste un orizzonte mai completamente definitivo dell’archivio per cui questo non è descrivibile nella sua totalità in quanto noi stessi parliamo al suo interno, siamo dentro le sue regole, le sue possibilità. Esso procede per frammenti, per regioni. In questo senso è possibile affermare che esso ci delimita, stabilendo delle soglie di esistenza che via via cambiano, compaiono e scompaiono:

fa brillare l’altro e l’esterno. […] Stabilisce che noi siamo differenza, che la nostra ragione è la differenza dei discorsi, la nostra storia la differenza dei tempi, il nostro io la differenza delle maschere. Che la differenza non è origine dimenticata e sepolta, ma quella dispersione che noi siamo e facciamo 
([Foucault, 1980], pp. 175-176)

L'archeologia del sapere e il suo fondamento: la diversità
Obiettivo dell’archeologia del sapere non è tanto quello di ridurre le diversità dei discorsi e a delinearne l’unità sotto un’unica legge universale, bensì suddividere per aumentare le diversità.

Ancora una volta emerge il concetto di diversità come cifra identificativa dell’alterità. Si scopre che riflettendo su se stessi, sugli oggetti e sui testi che ci circondano, scatta un processo d’immedesimazione da cui l’uomo non esce più somigliante a quello di prima. Raccogliendo le tracce lasciate dalla memoria, si possono creare corrispondenze apparentemente poco sensate. Apparentemente, perché alla fine il processo mimetico è un processo anche introspettivo e personale in cui la ricerca del senso procede nel rintracciare differenze perdute.

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