venerdì 12 ottobre 2012

Mimesis e testo: la chiamata in causa dell'enunciatore (parte II)

Nel post precedente (Mimesis e testo. la chiamata in causa dell'enunciatore (parte I)), si è detto che il testo-replica è un testo che continua il dialogo all’interno di una zona semiosferica in cui un testo evoca un altro e nello stesso tempo lo trasforma.


Da questa zona semiosferica, definibile anche come archivio testuale o fond sans fond, emerge, dunque, un denso tessuto di testi che come cellule si riproducono mantenendo traccia della cellula madre e, nel contempo, portano con loro caratteristiche sempre nuove. Questo tipo di pratica performativa e semiconservativa vale anche per i testi audiovisivi e, dunque, televisivi.
Anche i testi televisivi dialogano tra loro e lo fanno richiamando la competenza intertestuale ed enciclopedica che il lettore si è costruito con il tempo. Ci sono memorie (endofore ed esofore, se si vuole utilizzare una terminologia più corretta_Fausto Colombo e Massimo Scaglioni in Quel che resta della fiction. Le incerte formule della memoria dello spettatore in Mondi Seriali, Percorsi semiotici nella fiction_a cura di Pozzato e Grignaffini_Link Ricerca RTI), che lo spettatore riesce a far emergere dalla lettura del testo e che l’autore aveva precedentemente disseminato del testo. A questo lavoro indiziario, si deve aggiungere quello referenziale interpretabile come ricontestualizzazione delle situazioni e delle tematiche. La questione interessante, però, è che tali meccanismi, indiziario e referenziale, sono tradotti a livello enunciazionale da una serie di debrayage ed embrayage che ritmano tale pratica replicativa (preciso che ritornerò su tale argomento). 

Ciò che ritorna, dal distacco e dal ritorno enunciazionale, non è solo l’enunciatario e la sua competenza, ma soprattutto l’enunciatore (ovvero la televisione stessa). Ripresentando nuovamente e differentemente un suo testo del passato e attivando un meccanismo nostalgico di un periodo adolescenziale e mitico, l’enunciatore rende la pratica replicativa autoriflessiva, ovvero di ritorno a sé. Ripropone se stesso come nuovamente e differentemente enunciatore e fautore del continuo dialogo tra testi, ma anche con il proprio lettore.

Si rivolge direttamente a lui e intraprende la sua azione comunicativa con un atto performativo ponendosi in prima persona: intende continuare a comunicare con lui. Tale pratica diventa fondamentale e può essere intesa come una caratteristica intrinseca del contesto produttivo televisivo: è la televisione ad aver costruito quel bacino di conoscenze e di ricordi mediali del passato a cui il lettore può rifarsi ed è lei che, ricorrendo anche ad altre piattaforme e distribuzioni (il web, ad esempio), riesce a propagare il suo messaggio. La sua forza illocutoria si manifesta proprio in quella capacità di riproporre immagini, attivare giochi sociali e relazionali, spesso inerenti alle esperienze soggettive, ma soprattutto a se stesso.

La televisione, come schermo opaco in cui si manifesta la pratica mimetica, continua a riflettere se stessa sempre uguale e sempre diversa. I suoi testi possono proporsi come pharmakon in versione positiva o negativa, ma questo dipende dal suo lavoro di ri-produzione: è lei responsabile della possibilità della differenza di diventare un valore positivo e propositivo. E’ lei, con la sua forza illocutoria e con la sua capacità di distribuire modelli di riferimento, che può rendere l’alterità un valore etico più elevato.

E qui si potrebbe ritornare a Platone!

mercoledì 10 ottobre 2012

Mimesis e testo: la chiamata in causa dell'enunciatore (parte I)

Considerando la categoria della temporalità e considerando quanto detto nel post precedente (La pragmatica della mimèsi come interpellazione dell’Altro (parte II)) a proposito del processo mimetico rintracciabile nei testi, è possibile affermare che questo pone in relazione passato e presente con l’avvenire, che è l’altro:

L’avvenire è l’altro. La relazione con l’avvenire è la relazione stessa con l’altro. 
[Lévinas, Il tempo e l’altro (trad. ita), Genova, Il Melangolo, 1993], p. 48.

In un certo senso, l’alterità è strettamente connessa con il concetto di continuità che si è rintracciato in quel formarsi di continue catene di testi connessi da un certo legame di familiarità che porta tale struttura testuale sempre oltre. Catena infinita in cui non è possibile trovare l’anello iniziale e originario, catena di anelli ripetitivi legati da una serie di fitte corrispondenze, ma anche di trasgressioni e di eccezionalità, e, infine, catena in cui le posizioni liminari tra visibile e invisibile, tra ciò che è prima e dopo, tra ciò che è curativo e velenoso, sono sempre più sfumate.

Il testo-altro, ovvero il testo-replica, è proprio quel pharmakon che potrebbe rappresentare la giusta soluzione oppure il capro-espiatorio da nominare e cacciare. Ma, soprattutto, il testo-replica è un testo che continua il dialogo all’interno di una zona semiosferica in cui un testo evoca un altro e nello stesso tempo lo trasforma. La struttura reticolare e a spirale di questa zona vede ogni testo portare con sé una parte che rinvia a un testo similare e una parte diversa: in altre parole il testo si configura attraverso una componente indiziaria e una referenziale. Come già si è ripetuto diverse volte, non esiste una relazione d’identità tra i testi, ma di traduzione e di rinvio ovvero di proiezione da intendersi come un pro-icio.

martedì 9 ottobre 2012

La pragmatica della mimèsi come interpellazione dell’Altro (parte II)

Come accennato nel post precedente La pragmatica della mimèsi come interpellazione dell’Altro (parte I), la pratica mimetica ha valenza illocutoria ed è da intendersi come una pratica performativa e dialogica.


L’atto di interpellare l’Altro, però, pur essendo stato un qualcosa di sempre presupposto, è stato compreso e si è costituito lungo il passare dei secoli e delle riflessioni che questi hanno portato con loro. Ed è in questo caso che, ancora una volta, la pratica mimetica può essere interpretata come una chiave di lettura per poter inquadrare tale concetto.

Come si è potuto constatare dal primo capitolo, l’arte assieme alla società e alla cultura rappresentano il campo di incontro di una serie di istanze interessanti attraverso le quali è possibile affermare che non esiste un rapporto univoco di identità assoluta tra ciò che era e ciò che ora viene ri-presentato. Considerando, infatti, il rapporto tra modello e copia, questo nel corso del tempo necessariamente è mutato dal momento che è emersa l’istanza del soggetto-artista con la sua capacità di esercitare liberamente la propria artisticità al di là del modello di riferimento proposto e/o imposto. E non appena subentra tale istanza, quello che si presenta in un secondo momento, al di là della sua ri-presentazione, è il risultato di un processo di rifrazione in cui tale pratica mimetica presenta un qualcosa d’altro.

Intesa spesso come diversità, l’alterità nelle considerazioni proposte si manifesta spesso con connotazioni non sempre positive. 
Si pensi ad esempio a Platone e al suo modo di vedere il rapporto copia e modello come un qualcosa che deve essere assolutamente e univocamente regolato e non deve provocare passioni incontrollabili.
Oppure si pensi all’istanza regolatrice che si è rintracciata a partire dall’Umanesimo e dal Rinascimento nella disputa tra “antichi” e “moderni”: si tratta di un’istanza conservatrice  che porta con sé l’obiettivo di poter continuare una certa linea tradizionalista di fare artistico. Tuttavia, questa istanza non può fare a meno di quella creatrice che a partire, in un certo senso, da Aristotele si propone. 

Se si considera, ad esempio, la modalità di analisi di Aristotele, che procede per differenze, è possibile affermare che la produzione di senso procede proprio attraverso queste, come le distinzioni delle cose dello stesso genere. E la differenza procede, inoltre, anche grazie all’avanzamento della componente soggettiva dell’uomo, l’anima. A partire, infatti, da Plotino per poi continuare in maniera più approfondita con tutto il Cristianesimo, l’anima diventa il luogo privilegiato d’incontro con il divino, incontro in cui l’arte è una delle tappe e in cui l’uomo, rispecchiandosi in questo processo di ritorno, si trova anch’esso un poco più vicino al divino. 

Continuando questo percorso appassionato e spirituale verso l’assoluto, l’uomo-artista si trova essere soggetto pensante, creatore di bellezza e soggetto che giudica. La pratica che meglio descrive il continuo rapporto tra soggetto e oggetto, passato e presente, Io e non-Io è il movimento dialettico. Il dispiegarsi di tale movimento, fa emergere, all’interno di una catena ripetitiva mai sempre uguale, il necessario confronto con l’alterità. E’ per questo motivo che si è affermato che Ottocento e Novecento rappresentano il palcoscenico di tale istanza. Che si parli di Romanticismo, di Naturalismo o di filosofie della ripetizione, la pratica mimetica implica il confronto, la presa in carico e l’intenzione di instaurare un rapporto con l’alterità. Territorio di tali momenti è il testo: testo che porta con sé le tracce dei testi precedenti, testo che è il risultato di una serie di sintesi nuove, apparentemente insensate, ma sempre differenti.

lunedì 8 ottobre 2012

La pragmatica della mimèsi come interpellazione dell’Altro (parte I)

Dal mio punto di vista, uno dei termini chiave del concetto di mimesis è quello di dialogo.

A questo proposito si ricorda che ogni comunicazione presuppone un interlocutore cui rivolgere la parola, che interpella o invoca, nella sua alterità e che non solo e non sempre appare come un qualcosa di rappresentato e sensato, ma anche come un qualcosa che si presenta faccia a faccia [Ponzio A., La differenza non indifferente. Comunicazione, migrazione, guerra, Milano, Mimesis, 1995], p. 162.


La rivelazione dell’altro, a partire da una presenza-assenza altra ha, dal punto di vista pragmatico, una valenza illocutoria. E’ da questo tipo di vista che la produzione del senso si manifesta come atto performativo.
E’ possibile, dunque, rileggere le considerazioni proposte a livello del concetto di mimèsi attraverso questo carattere.  

La pragmatica della mimèsi come interpellazione dell’Altro
Partendo dalla considerazione che, oltre che nell’arte, la mimèsi gioca un ruolo importante in una serie di processi, come quelli di socializzazione e civilizzazione, di filogenesi e ontogenesi, è possibile affermare che a livello di cultura, di socialità e di educazione si deve parlare di pratica mimetica da intendersi come quell’insieme di processi che sono in grado di influenzare la relazione dell’uomo con la natura, con la società e con gli altri.

La direzione verso la quale tende la pratica mimetica e il modo attraverso il quale viene interpretato implicano il rapporto con l’Altro. In altre parole, la forza illocutoria della pratica mimetica si trova nell’alterità:

L’altro si mantiene e si conferma nella sua eterogeneità non appena lo interpelli e foss’anche per dirgli che non gli si può parlare, per dichiararlo malato, per comunicargli la sua condanna a morte, è colpito, ferito, violentato e, nello stesso tempo, “rispettato”. 
L’invocato non è quello che io comprendo: non è soggetto a categorie. E’ quello al quale io parlo – ha riferimento soltanto a sé, non ha quiddità 
[Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità (trad. ita), Milano, Jaka Book, 1990], p. 67]


 



 

mercoledì 3 ottobre 2012

Conclusioni: parola d'ordine, TRASGREDIRE

In base a quanto in tutti i miei post precedenti, vorrei riportare la mia summa sulle conclusioni delle conclusioni.

La disamina del concetto di mimèsi è iniziata considerando il rapporto tra copia e modello per poi evidenziare altre questioni rilevanti in cui la posizione dell’uomo, come artista e come soggetto, si configura col tempo. 

Già a partire da Aristotele si percepisce un cambiamento di prospettiva tale per cui l’ambito artistico si configura come autonomo e indipendente caratterizzato da una serie di regole interne e, naturalmente, anche da quello che poi Cicerone chiamerà come ingenium. Con la dissoluzione dell’Impero Romano e l’avvento del Cristianesimo, da un lato emerge sempre di più la componente soggettiva dell’uomo (l’anima, elemento intermedio che permette di ritornare al divino) e dall’altro si nota un graduale riassestamento dell’arte e dell’artista: i segni anche di diverse epoche vanno ricollocati in amalgame in modo tale che ci possa essere una continuità tra presente e passato. Emerge, dunque, il grande problema dell’auctoritas che non solo produce ma soprattutto distribuisce i modelli di riferimento. Nel Medioevo, l’Auctoritas per eccellenza è la Chiesa e solo a partire dalla comprensione di questa situazione, è possibile comprendere come l’Umanesimo e il Rinascimento, ma anche il Barocco, propongano dispute tra “antichi” e “moderni”, dispute che vanno interpretate come momenti di guerriglia culturale in cui è in gioco l’emancipazione dal veto del modello.

D’ora in poi, quando si parlerà di pratica mimetica, la si dovrà intendere come un qualcosa composto di due istanze: una prima istanza regolatrice, all’interno della quale ogni disciplina artistica eredita dalla tradizione una serie di regole produttive, e una seconda istanza creativa, in cui è l’uomo, attraverso la sua soggettività, la sua fantasia, la sua immaginazione e la sua genialità, a rendere la sua produzione artistica non una copia di qualcosa che è stato, ma un qualcosa di non ancora creato. 

D’ora in poi, e soprattutto con il Romanticismo, la questione della soggettività diventerà centrale nella trattazione del concetto di mimèsi: nonostante con il classicismo di Winckelman non si escluda a priori il riferimento a un modello, possono esistere persone geniali anche nel tempo moderno. Questo perché, la concezione che si è venuta a creare dell’uomo è cambiata: non è soltanto un soggetto pensante e razionale, ma è soprattutto un soggetto che giudica ed è creatore di bellezza perché, sotto un certo punto di vista, la bellezza è in lui (Kant). 
Si dispiega, pertanto, un percorso appassionato del soggetto con il bello, un percorso che, però, deve cominciare a interfacciarsi anche con quello che è il non-Io, cioè la sua alterità

E lo fa anche quando non si è più all’interno del Romanticismo: se si pensa, ad esempio, al Naturalismo, si può affermare che la minuziosa rappresentazione della realtà sociale non solo evidenzia la capacità quasi scientifica di rendere in maniera perfetta il sociale, ma soprattutto mostra alla stessa società la sua rappresentazione. Insomma, sia il procedimento dialettico, sia quello di rispecchiamento del reale, permettono un confronto tra l’Io e l’Altro. Si tratta di un confronto che d’ora in poi non potrà più essere messo da parte. 

Ottocento e Novecento rappresentano il palcoscenico dell’alterità che si mostra nella pratica mimetica, intesa come ripiegamento temporale. La questione del tempo diventa centrale: l’idea di ritorno si associa inevitabilmente alle idee di novità, di (apparente) insensatezza e di differenza. 
I testi che fino ad ora sono stati prodotti inevitabilmente lo sono stati anche in base alla pratica della mimèsi dal momento che ciascun testo porta con sé la traccia del testo precedente. Si viene così a creare una catena di anelli ripetitivi legati da una serie di corrispondenze così fitte da far sembrare la catena un oceano di gocce d’acqua, in cui ogni goccia differisce dall’altra per un qualche eccesso di trasgressione e di eccezionalità. 

E’ proprio il trasgredire il modello che consente la sua sopravvivenza: il testo, all’interno di questa catena, di quest’archivio, è sempre diverso perché sempre si traveste con maschere diverse, come l’Io che inevitabilmente deve rendere conto ormai di un’alterità che è sia interna sia esterna, che può accettare come rimedio oppure espellere perché velenosa.

martedì 2 ottobre 2012

Conclusioni: tabella riepilogativa (parte II)

Ed ecco qui di seguito la seconda parte della tabella:



Umanesimo e Rinascimento
La disputa tra antichi e moderni come pretesto per discutere sulla possibilità di esprimersi individualmente e autonomamente al di là del veto del modello di riferimento (individual subjective expression). L’artista con la sua creatività può rimanere se stesso pur rimanendo in contatto con il passato.
Imitazione e creatività

L’artista come soggetto
Barocco e pre-romanticismo
L’opera dell’artista diventa il completamento e il rinnovamento del modello di riferimento, affermandosi come soggetto creatore dotato di capacità di giudizio e di passione.
L’uomo e la sua capacità di esprimere giudizi
Romanticismo
L’arte è una delle tappe del percorso della coscienza e dello spirito per congiungersi con l’assoluto. Si giunge a tale fine attraverso la soggettività creatrice che implica un percorso dialettico in cui il soggetto può anche interfacciarsi con ciò che è altro da sé.
L’uomo tra Io e non-Io
Naturalismo
Il poeta deve rispecchiare fedelmente la realtà sociale: tale operazione di rispecchiamento non preclude il punto di vista dell’autore e invita la società a rapportarsi con la sua rappresentazione. L’io può fare i conti con il non-Io, altro da sé.
La società riflessa: il disvelamento dell’alterità
Tra Ottocento e Novecento
La pratica mimetica può essere intesa come momento del ritorno che implica a sua volta la piena accettazione della vita e della sua unicità, ma soprattutto l’emersione di corrispondenze apparentemente insensate, di differenze e di modi di intendere l’io che non possono fare a meno dell’alterità. La pratica mimetica, attraverso la ripetizione, indica l’esistenza di un substrato enciclopedico in cui si archiviano tutti i testi concatenati l’uno con l’altro da reciproci riferimenti.
La presenza dell’alterità nel ricordo del passato e nelle tracce disseminate dai testi

Conclusioni: tabella riepilogativa (parte I)



Qui di seguito si propone una tabella riepilogativa dei principali passaggi esposti nei post precedenti:


Contesto di
Riferimento

Considerazioni sulla mimèsi
Parole chiavi
Periodo greco
Platone: ontologicamente e gnoseologicamente inferiore rispetto al vero e alla conoscenza razionale;
Aristotele: la produzione artistica, alla cui base vi risiede il rapporto imitativo con la natura, è autonoma sia nella forma sia nei contenuti (artistic self-assertion).
Rappresentazione
Rapporto copia -modello
Periodo romano
Cicerone: l’artista tra ingenium e diversi modelli di riferimento (eclettismo).
Rapporto copia – modello
Ingenium dell’oratore /filosofo
Periodo paleocristiano e post romano
Plotino: l’arte pur imitando la natura, crea il bello artistico per somiglianza e analogia del bello ideale attraverso la mediazione dell’anima che tende necessariamente a ritornare all’Uno.  Si comincia a parlare di self-conception, tale per cui l’uomo e la sua capacità intellettuale sono uno specchio produttivo e vivente dell’universo e, dunque, anche del divino;
Agostino: l’anima raggiunge la bellezza interiore attraverso un processo di somiglianza originaria tramite la fede.
Rapporto tra zona celeste/divina e terrena

l’anima e il suo percorso verso il divino
Periodo Medioevale
- mimèsi come processo d’incorporamento di segni per consolidare il potere dando un senso di continuità col passato. Inoltre, l’amalgama di segni può avvenire anche nella rappresentazione della sovranità essendo lui stesso il vicario dell’onnipotenza del divino;
- mimèsi come unione mistica e mimetica con il divino seguendo il modello della vita monastica;
- l’uomo è fatto a somiglianza e a immagine di Dio (e non viceversa) e, in base a tale principio di analogicità e di partecipazione, essendo lui dotato di intelligenza, possiede similarmente capacità produttive, diventando artifex (ma non creator, come il divino).
Il cristianesimo e l’Auctoritas della Chiesa

Il monachesimo e il percorso interiore dell’anima verso il divino come abbandono di tutto ciò che è terrestre

L’uomo e il divino: analogia imperfetta