lunedì 3 settembre 2012

Autore e lettore naturalisticamente rappresentati: premesse. Parte II


In base a quanto detto nel post precedente (Autore e lettore naturalisticamente rappresentati: premesse. Parte I) quali considerazioni possono essere fatte della mimèsi? 

Prime Conclusioni alle premesse
A una prima risposta, si potrebbe affermare che la componente deterministica di questo tipo di visione della realtà esclude la fantasia e la parzialità dell’artista. Infatti, se l’artista deve essere imparziale osservatore del reale, la sua attività artistica dovrà essere, di conseguenza, il più mimetica possibile

In realtà tale conclusione è solo in parte vera. Sicuramente una perfetta rappresentazione coincide, come già sostenevano gli antichi e i classicisti, con la perfetta imitazione del reale. Tuttavia, la questione si complica, dal momento che la realtà non va semplicemente riprodotta, ma conosciuta e riproposta (Franzini-Mazzocut, p. 260). In questo modo la costruzione della realtà sociale avviene certamente mimeticamente, ma questa forma di mimetismo, nella ricostruzione analitica e microscopica del reale, porta alla scoperta anche della dimensione interiore (Gebauer e Wulf, Mimesis: culture, art, society, Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 1995, p. 218). 

Cosa succede allo spettatore (lettore in questo caso) quando si relaziona con novelle in cui viene ritratta la dimensione interiore ed esteriore della sua classe sociale? Come si polarizzano le dimensioni percettive dell’Io e dell’Altro? Non è forse che la rappresentazione dell’Io è inevitabilmente una rappresentazione dell’Altro-diverso-dell’Io?

Il fatto è che, oltre al concetto di rappresentazione, dovrebbe essere utilizzato anche quello di mercificazione. Succede, infatti, che in una società come quella di fine Ottocento, ristrutturata nelle sue innovazioni tecnologiche ed economiche, la figura dell’artista diventa quella di un uomo della folla. Perde la propria funzione privilegiata di fondatore d’ideologie e di miti capaci di orientare l’opinione pubblica: l’arte ha perso la sua centralità in un mondo fortemente capitalista. L’intellettuale si è imborghesito e vende sul mercato il suo lavoro trasformandolo in merce. Baudelaire descrive questa situazione dell’artista con l’immagine della perdita dell’“aureola”:

Mio caro, sapete quanto temo i cavalli e le carrozze. Poco fa nell’attraversare il Boulevard, in gran fretta, mentre saltellavo nel fango tra quel caos dove la morte giunge a galoppo da tutte le parti tutt’in una volta, la mia aureola è scivolata, a causa d’un brusco movimento, giù dal capo nel fango del macadam. Non ebbi coraggio di raccattarla, e mi parve meno spiacevole perder le insegne, che non farmi romper l’ossa. E poi, ho pensato, non tutto il male vien per nuocere. Ora posso passeggiare in incognito, commetter bassezze, buttarmi alla crapula come il semplice mortale. Eccomi qua, proprio simile a voi, come vedete!
(BAUDELAIRE C. S., Poesie e prose, a cura di Raboni G., Milano, Mondadori, 1973, p. 403)

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