venerdì 18 febbraio 2011

Riflessioni sulla figura dell'oratore, parte V

Seguito delle osservazioni presentate nei post precedenti.

10. Se sì è affermato che in parte l’oratoria proviene dal mondo greco, come mai è così diversa dalla civiltà romana? A rispondere a questa domanda ci pensa Catulo affermando che pur essendo nato a Roma, movimentata di cause private e nell’amministrazione di un vastissimo impero, l’oratore romano (e qui, Catulo si sta riferendo a Crasso) ha abbracciato una quantità così vasta di conoscenze e l’ha congiunta con la scienza e la pratica dell’uomo di Stato, godendo di una buona reputazione dei cittadini. Per quanto riguarda, invece, l’uomo greco, pur essendo nato nella patria delle lettere, no ha saputo mantenere e conservare l’eredità degli antenati (III, 131);

11. Tutto quello detto e scritto fino a ora è vero, ma a un certo punto Cicerone afferma che l’oratore ideale dovrebbe superare lo stesso filosofo poiché ha il dono della parola. Vediamo ora perché. Cicerone apprezza fortemente la figura dei filosofi e su questo non c’è dubbio: dal verso 137 al 141 elenca tutta una serie di figure eminenti di questa sfera, al punto che uno di questi diventò il maestro di Filippo. Inoltre, Cicerone non è contrario a definire l’oratore come filosofo dal momento che questa persona oltre a possedere la sapienza, avrebbe anche l’eloquenza. Tuttavia, è doverosa una precisione, secondo il nostro autore: “l’incapacità di parlare da parte di chi, pur provvisto di capacità espressive, non ha nulla da dire, non sono del pari degne di lode. Ma quando dovessi scegliere tra le due condizioni, preferirei esser saggio senza esser capace di esprimere quel che so, anziché essere ignorante e dire soltanto sciocchezze” (III, 142). Insomma, per Cicerone la cosa fondamentale è l’espressione del proprio pensiero. Se si vuole che questa persona sia anche filosofo, non c’è nessun problema per il nostro autore. Tuttavia, se si distingue il filosofo dall’oratore, il filosofo sarà in una posizione inferiore: mentre l’oratore perfetto possiede tutte le conoscenze del filosofo, questo, nonostante il suo bagaglio di erudizione, non dispone necessariamente della facondia;

12. Il parlare ritmicamente, proprio dell’oratore, è utile al discorso e la figura dell’oratore. Questo principio di utilità è alla base della natura fisica del mondo: è la natura stessa, nella sua mirabile attività creativa, ad aver inserito il principio che le cose fossero utili. Sono proprio il bisogno a riprendere fiato e la brevità del respiro a determinare i punti fermi e le pause minori del periodo. Il ritmo procura piacere ed è utile all’oratoria (III, 178 – 182). Dalla lunghezza del respiro, dipendono le pause che sia in poesia, sia in prosa sono necessarie e questi elementi riescono ad essere percepiti anche dai non esperti (è per questo che Cicerone affermerà che è competente il giudizio degli incompetenti e questo deve preoccupare sia i poeti sia gli oratori, anche se in maniera diversa (III, 197 – 199).

Il seguito del testo prende in considerazione altri aspetti dell’oratoria, analizzando la voce, i gesti, le figure del pensiero e della parola. Minuzioso è il lavoro di Cicerone ponendo esempi concreti ed efficaci.

Vorrei ribadire che l’elemento che a me interessa maggiormente è proprio la conoscenza enciclopedica che dovrebbe possedere l’oratore. Questo concetto verrà poi ripreso da Quintiliano che affermerà che l’oratore dovrebbe essere un tuttologo, anche un uomo onesto  optima sentiens optimeque dicens” [XII, 1, 25], o - come disse già Catone e ripresa, come abbiamo visto da Cicerone – “vir bonus dicendi peritus”. Quest’ultima espressione enfatizza, dunque, le qualità morali (bonus) e la perizia tecnica (peritus) che nasce dal sapere e dallo studio. Se uno sconosce l’argomento, poi le parole verranno da sé (Catone: rem tene, verba sequentur).

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