Ho raccolto due osservazioni interessanti in alcuni libri che ho letto.
Il primo è di Marina Polacco, Editori Laterza, con il titolo L'intertestualità. Già dal titolo si può capire come il discorso che sto per fare interessi non solo l'imitazione, ma anche altre pratiche ad essa connesse come il richiamo, la citazione e la traduzione.
Parlando delle origini del concetto di imitazione, l’autrice prende in considerazione due periodi storici, quello greco e quello latino. Per quanto riguarda quello greco, osserva che già a partire da un poeta Bacchilide vi era una forte coscienza della presenza dell'intertestualità: "L'uno dall'altro apprende: così per il passato, così ancora. Non è certo cosa facile di parole mai dette trovare le parole". Frase importante che sta a indicare come sia impossibile concepire uno stato di assoluta verginità della parola, ma anche dei testi.
Ma quale rapporto esiste tra le letterature di diversi periodi storici (se è possibile classificarle in questo modo) o anche solo tra periodi diversi (che noi classifichiamo ed etichettiamo con determinati nominativi)? Secondo Jean Giraudoux “il paglio è la base di tutte le letterature, eccetto della prima, che del resto ci è sconosciuta.”
Se seguiamo il ragionamento dell’autrice e di Giraudoux, il rapporto tra letterature diventerebbe “antropologicamente” fondato sull’imitazione e/o sulla traduzione: la letteratura latina avrebbe tradotto quella greca, quelle romanze nascerebbe dalla ripresa e dal travisamento del patrimonio classico, la letteratura volgare italiana dall’importazione dei modelli francesi e occitani e così via (p. 13).
L’imitazione, quindi, è da intendersi come una strategia che presuppone una doppia complicità: da un lato si fa riferimento a un patrimonio comune, nella speranza o meno che il lettore possa identificarsi e riconoscere quanto l’autore sta scrivendo; dall’altro, l’autore in una certa maniera gareggia in bravura con il modello richiamato.
Il secondo testo che ho preso in considerazione è di Maria Bergamo e Monica Centanni (edizioni Paravia, 2005) con un titolo veramente interessante L’originale assente. In questo testo, ho trovato di molto interesse il riferimento al concetto di modello e alla differenza di percezione che si ha della copia e dell’artista tra il mondo greco e quello latino. Se per Platone, il modello o i modellio erano le Idee, da intendersi come qualcosa di inaccessibile (ma a cui aspirare) e poi trasferibili come cogitata species nella mente dell’artista, per Cicerone qualcosa cambi (p. 65).
Abbiamo già preso in considerazione, anche se in maniera limitata, il De Oratore andando a scoprire che per Cicerone esiste la componente dell’immaginazione e della creatività dell’ingegno del filosofo a completamento della figura del retore. Ora si prendano in considerazione altri due testi, l’Orator e il Brutum che specificano il modello supremo di oratore. Cicerone, nel primo dei due testi, propone un paragone tra la creazione retorica e la creazione dell’artista figurativo affermando che esiste un modello mentale non solo per l’artista, ma anche per l’oratore.
Esiste, quindi, un modello originario di perfezione di cui si ha intuizione e la cui imitazione dà vita a grandi opere, delle quali però si ha una percezione sensibile: queste ultime appaiono come copie comunque inferiori all’originale, che è solo intuito. In questa gerarchizzazione del rapporto modello/copia, Cicerone si rifà esplicitamente a Platone, ma, nel contesto dello scrittore latino, il senso ontologico e gnoseologico delle idee, intese quali forme supreme delle cose, è rovesciato (p. 65). All’artista viene così riconosciuta la possibilità di emanciparsi sempre di più dall’imitazione del reale dando forma a libere rappresentazioni.
Insomma, le opere saranno comunque imitazioni delle forme ideali ispiratrici, ma la forma ideale sarà verificabile soltanto nella realizzazione concreta, per quanto inferiore, della copia. Il deficit che porta con sé la copia, con un valore inferiore di verità, trova un contrappeso importante nella creatività dell’artista. Comincia ad esserci al centro del nostro discorso l’uomo.
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