mercoledì 16 febbraio 2011

Riflessioni sulla figura dell'oratore, parte IV

Proseguendo nella lettura del Libro III del De Oratore annoto, seguendo anche la numerazione del post precedente, le seguenti riflessioni:

6. Crasso espone la sua versione del perfetto oratore: “Ma, se spunterà fuori un giorno qualcuno capace di ragionare su qualsiasi argomento e su qualsiasi genere di causa alla maniera di Aristotele, e seguendo i precetti, saprà sostenere due tesi opposte della medesima causa, oppure, imitando Arcesila o Carneade, saprà battersi contro tutto ciò, che gli sia stato opposto e che, infine unisca ad una formazione teorica siffatta questa nostra abitudine a questo nostro esercizio del dire, quegli sarà il vero, il perfetto, il solo oratore! Poiché l’oratore non potrà essere sufficientemente impetuoso, né forte senza questo vigore forense, né bastevolmente elegante e saggio senza varietà di conoscenze” (III, 80). Ancora una volta il varietate doctrinae è ribadito attraverso l’elemento del forensibus nervis che rende bene come alla pratica debba essere fare da compagna una forte dose di studio e di conoscenze. Secondo me, questo tipo di conoscenze è di natura enciclopedica e intertestuale poiché sembra più un qualcosa che si sedimenta nel tempo e che continua a rimanere tramite la continua riscoperta (vedere punto 9).
Siamo nella sfera del piacere del sapere e Cicerone lo ricorda: “Si aggiunga che il desiderio di sapere è insaziabile”, libet autem sempre discere (III, 88);

7. per quanto concerne lo stile, l’orazione troverà il suo totale coronamento quando si parlerà in modo ornato e in modo conveniente. “Ed ecco quale ne sarà il risultato: l’orazione sarà piacevole in sommo grado, eserciterà la massima efficacia sui sentimenti di coloro, che ascolteranno e sarà il più possibile nutrita di argomentazioni” (III, 91).  Si sceglierà, inoltre, “uno stile che domini gli ascoltatori che domini gli ascoltatori e che sia, inoltre, capace di dilettarli non solo, ma di dilettarli senza stancarli” (III, 97);

8. secondo Crasso, parlando a proposito della disposizione delle argomentazioni, sarebbe necessario seguire questo schema (III, 113 – 117):
- CONGETTURA: si può ricercare l’esistenza di una cosa, oppure la sua origine, oppure la causa e la ratio, oppure la sua trasformazione (esempio: Quale è l’origine delle leggi?);
- DEFINIZIONE: si ricerca quali concetti siano universali e come sono impressi nella mente umana (esempio: E’ proprio dell’oratore parlare con eleganza? Può farlo un altro oratore?);
- CONSEGUENZA: possono essere semplici (interessa, dunque, il desiderio e il divieto, il giusto e l’ingiusto, l’onesto e il turpe. Ad esempio: E’ onesto andare incontro alla morte per amore della gloria?) e complessa (differenziazione tra ciò che è simile e ciò che differisce oppure esamina di uno dei due termini di confronto. Ad esempio: Debbono i saggi preoccuparsi del giudizio della moltitudine o di quello dei cittadini migliori?);

9. Vorrei precisare che Cicerone afferma “non si tratta soltanto di affinare la lingua e di formarla ad una espressione brillante, ma di corredare il nostro spirito d’una soave, abbondante e varia ricchezza di conoscenze, le più numerose e le più importanti” (III, 121). In latino: maximarum rerum et plurima rum suavitate, copia, varietate. Poche righe più avanti l’oratore conferma proprio quanto avevo detto nel punto 6: “E’ nostro […] è tutto nostro cotesto patrimonio di filosofia e di scienza, nel quale questi sfaccendati si sono cacciati, come se si trattasse d’un bene avuto in eredità” (III, 122). Proprio a questo Cicerone introduce un’argomentazione interessante: come dovrebbe essere l’insegnamento. Partendo dal presupposto che la mente umana non può da sola avere una capacità così potente di sapere e di conoscenza, ma necessita di un precedente, di un qualcuno che l’abbia saputo prima, oltre all’interesse e alla curiosità è necessario che l’oratore indaghi in questa profondità di conoscenze (vastissima, ma non completamente oscura). Si prosegue poi con il seguente ragionamento: “colui che parlerà o scriverà, sia educato ed istruito fin nella scuola primaria, come si conviene a fanciulli bennati, arda dal desiderio di sapere, sia ben dotato naturalmente, venga esercitato nella discussone di tutti i casi generali e indeterminati, si scelga, per approfondirli ed imitarli gli scrittori e gli oratori più eleganti. [...] Disponendo pertanto di così grande ricchezza d’idee, la natura stessa, senza alcuna guida, arriverà facilmente agli ornamenti del discorso, purchè non manchi di esercizio” (III, 125)

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