martedì 9 ottobre 2012

La pragmatica della mimèsi come interpellazione dell’Altro (parte II)

Come accennato nel post precedente La pragmatica della mimèsi come interpellazione dell’Altro (parte I), la pratica mimetica ha valenza illocutoria ed è da intendersi come una pratica performativa e dialogica.


L’atto di interpellare l’Altro, però, pur essendo stato un qualcosa di sempre presupposto, è stato compreso e si è costituito lungo il passare dei secoli e delle riflessioni che questi hanno portato con loro. Ed è in questo caso che, ancora una volta, la pratica mimetica può essere interpretata come una chiave di lettura per poter inquadrare tale concetto.

Come si è potuto constatare dal primo capitolo, l’arte assieme alla società e alla cultura rappresentano il campo di incontro di una serie di istanze interessanti attraverso le quali è possibile affermare che non esiste un rapporto univoco di identità assoluta tra ciò che era e ciò che ora viene ri-presentato. Considerando, infatti, il rapporto tra modello e copia, questo nel corso del tempo necessariamente è mutato dal momento che è emersa l’istanza del soggetto-artista con la sua capacità di esercitare liberamente la propria artisticità al di là del modello di riferimento proposto e/o imposto. E non appena subentra tale istanza, quello che si presenta in un secondo momento, al di là della sua ri-presentazione, è il risultato di un processo di rifrazione in cui tale pratica mimetica presenta un qualcosa d’altro.

Intesa spesso come diversità, l’alterità nelle considerazioni proposte si manifesta spesso con connotazioni non sempre positive. 
Si pensi ad esempio a Platone e al suo modo di vedere il rapporto copia e modello come un qualcosa che deve essere assolutamente e univocamente regolato e non deve provocare passioni incontrollabili.
Oppure si pensi all’istanza regolatrice che si è rintracciata a partire dall’Umanesimo e dal Rinascimento nella disputa tra “antichi” e “moderni”: si tratta di un’istanza conservatrice  che porta con sé l’obiettivo di poter continuare una certa linea tradizionalista di fare artistico. Tuttavia, questa istanza non può fare a meno di quella creatrice che a partire, in un certo senso, da Aristotele si propone. 

Se si considera, ad esempio, la modalità di analisi di Aristotele, che procede per differenze, è possibile affermare che la produzione di senso procede proprio attraverso queste, come le distinzioni delle cose dello stesso genere. E la differenza procede, inoltre, anche grazie all’avanzamento della componente soggettiva dell’uomo, l’anima. A partire, infatti, da Plotino per poi continuare in maniera più approfondita con tutto il Cristianesimo, l’anima diventa il luogo privilegiato d’incontro con il divino, incontro in cui l’arte è una delle tappe e in cui l’uomo, rispecchiandosi in questo processo di ritorno, si trova anch’esso un poco più vicino al divino. 

Continuando questo percorso appassionato e spirituale verso l’assoluto, l’uomo-artista si trova essere soggetto pensante, creatore di bellezza e soggetto che giudica. La pratica che meglio descrive il continuo rapporto tra soggetto e oggetto, passato e presente, Io e non-Io è il movimento dialettico. Il dispiegarsi di tale movimento, fa emergere, all’interno di una catena ripetitiva mai sempre uguale, il necessario confronto con l’alterità. E’ per questo motivo che si è affermato che Ottocento e Novecento rappresentano il palcoscenico di tale istanza. Che si parli di Romanticismo, di Naturalismo o di filosofie della ripetizione, la pratica mimetica implica il confronto, la presa in carico e l’intenzione di instaurare un rapporto con l’alterità. Territorio di tali momenti è il testo: testo che porta con sé le tracce dei testi precedenti, testo che è il risultato di una serie di sintesi nuove, apparentemente insensate, ma sempre differenti.

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