La disamina del
concetto di mimèsi è iniziata considerando il rapporto tra copia e modello
per poi evidenziare altre questioni rilevanti in cui la posizione dell’uomo,
come artista e come soggetto, si configura col tempo.
Già a partire da
Aristotele si percepisce un cambiamento di prospettiva tale per cui l’ambito
artistico si configura come autonomo e indipendente caratterizzato da una serie
di regole interne e, naturalmente, anche da quello che poi Cicerone chiamerà
come ingenium. Con la dissoluzione dell’Impero Romano e l’avvento del
Cristianesimo, da un lato emerge sempre di più la componente soggettiva
dell’uomo (l’anima, elemento intermedio che permette di ritornare al divino) e
dall’altro si nota un graduale riassestamento dell’arte e dell’artista: i segni
anche di diverse epoche vanno ricollocati in amalgame in modo tale che ci possa
essere una continuità tra presente e passato. Emerge, dunque, il grande
problema dell’auctoritas che non solo produce ma soprattutto
distribuisce i modelli di riferimento. Nel Medioevo, l’Auctoritas per
eccellenza è la Chiesa e solo a partire dalla comprensione di questa
situazione, è possibile comprendere come l’Umanesimo e il Rinascimento, ma
anche il Barocco, propongano dispute tra “antichi” e “moderni”, dispute che
vanno interpretate come momenti di guerriglia culturale in cui è in gioco
l’emancipazione dal veto del modello.
D’ora in poi, quando si parlerà di
pratica mimetica, la si dovrà intendere come un qualcosa composto di due
istanze: una prima istanza regolatrice, all’interno della quale ogni
disciplina artistica eredita dalla tradizione una serie di regole produttive, e
una seconda istanza creativa, in cui è l’uomo, attraverso la sua
soggettività, la sua fantasia, la sua immaginazione e la sua genialità, a
rendere la sua produzione artistica non una copia di qualcosa che è stato, ma
un qualcosa di non ancora creato.
D’ora in poi, e soprattutto con
il Romanticismo, la questione della soggettività diventerà centrale
nella trattazione del concetto di mimèsi: nonostante con il classicismo di
Winckelman non si escluda a priori il riferimento a un modello, possono
esistere persone geniali anche nel tempo moderno. Questo perché, la concezione
che si è venuta a creare dell’uomo è cambiata: non è soltanto un soggetto
pensante e razionale, ma è soprattutto un soggetto che giudica ed è creatore di
bellezza perché, sotto un certo punto di vista, la bellezza è in lui (Kant).
Si
dispiega, pertanto, un percorso appassionato del soggetto con il bello,
un percorso che, però, deve cominciare a interfacciarsi anche con quello che è
il non-Io, cioè la sua alterità.
E lo fa anche quando non si è più
all’interno del Romanticismo: se si pensa, ad esempio, al Naturalismo, si può
affermare che la minuziosa rappresentazione della realtà sociale non solo
evidenzia la capacità quasi scientifica di rendere in maniera perfetta il
sociale, ma soprattutto mostra alla stessa società la sua rappresentazione.
Insomma, sia il procedimento dialettico, sia quello di rispecchiamento del
reale, permettono un confronto tra l’Io e l’Altro. Si tratta di un confronto
che d’ora in poi non potrà più essere messo da parte.
Ottocento e Novecento
rappresentano il palcoscenico dell’alterità che si mostra nella pratica
mimetica, intesa come ripiegamento temporale. La questione del tempo
diventa centrale: l’idea di ritorno si associa inevitabilmente alle idee
di novità, di (apparente) insensatezza e di differenza.
I testi che fino ad ora
sono stati prodotti inevitabilmente lo sono stati anche in base alla pratica
della mimèsi dal momento che ciascun testo porta con sé la traccia del testo
precedente. Si viene così a creare una catena di anelli ripetitivi legati da
una serie di corrispondenze così fitte da far sembrare la catena un oceano di
gocce d’acqua, in cui ogni goccia differisce dall’altra per un qualche eccesso
di trasgressione e di eccezionalità.
E’ proprio il trasgredire il modello che
consente la sua sopravvivenza: il testo, all’interno di questa catena, di
quest’archivio, è sempre diverso perché sempre si traveste con maschere
diverse, come l’Io che inevitabilmente deve rendere conto ormai di un’alterità
che è sia interna sia esterna, che può accettare come rimedio oppure espellere
perché velenosa.
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