Nel post precedente (Mimesis e testo. la chiamata in causa dell'enunciatore (parte I)), si è detto che il testo-replica è un testo che continua il dialogo all’interno di
una zona semiosferica in cui un testo evoca un altro e nello stesso tempo lo trasforma.
Da questa zona semiosferica, definibile anche come archivio testuale o fond sans fond, emerge, dunque, un denso tessuto di testi che come cellule si riproducono mantenendo traccia della cellula madre e, nel contempo, portano con loro caratteristiche sempre nuove. Questo tipo di pratica performativa e semiconservativa vale anche per i testi audiovisivi e, dunque, televisivi.
Anche i testi televisivi
dialogano tra loro e lo fanno richiamando la competenza intertestuale ed
enciclopedica che il lettore si è costruito con il tempo. Ci sono memorie (endofore ed esofore, se si vuole utilizzare una terminologia più corretta_Fausto Colombo e Massimo Scaglioni in Quel che resta della fiction. Le incerte formule della memoria dello spettatore in Mondi Seriali, Percorsi semiotici nella fiction_a cura di Pozzato e Grignaffini_Link Ricerca RTI), che lo spettatore riesce a far
emergere dalla lettura del testo e che l’autore aveva precedentemente
disseminato del testo. A questo lavoro indiziario, si deve aggiungere quello
referenziale interpretabile come ricontestualizzazione delle situazioni e delle
tematiche. La questione interessante, però, è che tali meccanismi, indiziario e
referenziale, sono tradotti a livello enunciazionale da una serie di debrayage
ed embrayage che ritmano tale pratica replicativa (preciso che ritornerò su tale argomento).
Ciò che ritorna, dal distacco e
dal ritorno enunciazionale, non è solo l’enunciatario e la sua competenza, ma
soprattutto l’enunciatore (ovvero la televisione stessa). Ripresentando nuovamente e differentemente un suo
testo del passato e attivando un meccanismo nostalgico di un periodo
adolescenziale e mitico, l’enunciatore rende la pratica replicativa autoriflessiva, ovvero di ritorno a sé.
Ripropone se stesso come nuovamente e differentemente enunciatore e fautore
del continuo dialogo tra testi, ma anche con il proprio lettore.
Si rivolge direttamente a lui e intraprende la sua azione comunicativa con un atto performativo ponendosi in prima persona: intende continuare a comunicare con lui. Tale pratica diventa fondamentale e può essere intesa come una caratteristica intrinseca del contesto produttivo televisivo: è la televisione ad aver costruito quel bacino di conoscenze e di ricordi mediali del passato a cui il lettore può rifarsi ed è lei che, ricorrendo anche ad altre piattaforme e distribuzioni (il web, ad esempio), riesce a propagare il suo messaggio. La sua forza illocutoria si manifesta proprio in quella capacità di riproporre immagini, attivare giochi sociali e relazionali, spesso inerenti alle esperienze soggettive, ma soprattutto a se stesso.
Si rivolge direttamente a lui e intraprende la sua azione comunicativa con un atto performativo ponendosi in prima persona: intende continuare a comunicare con lui. Tale pratica diventa fondamentale e può essere intesa come una caratteristica intrinseca del contesto produttivo televisivo: è la televisione ad aver costruito quel bacino di conoscenze e di ricordi mediali del passato a cui il lettore può rifarsi ed è lei che, ricorrendo anche ad altre piattaforme e distribuzioni (il web, ad esempio), riesce a propagare il suo messaggio. La sua forza illocutoria si manifesta proprio in quella capacità di riproporre immagini, attivare giochi sociali e relazionali, spesso inerenti alle esperienze soggettive, ma soprattutto a se stesso.
La televisione, come schermo
opaco in cui si manifesta la pratica mimetica,
continua a riflettere se stessa sempre uguale e sempre diversa. I suoi testi
possono proporsi come pharmakon in versione positiva o negativa, ma
questo dipende dal suo lavoro di ri-produzione: è lei responsabile della possibilità
della differenza di diventare un valore positivo e propositivo. E’ lei, con la
sua forza illocutoria e con la sua capacità di distribuire modelli di
riferimento, che può rendere l’alterità un valore etico più elevato.
E qui si potrebbe ritornare a Platone!
E qui si potrebbe ritornare a Platone!