Dopo aver preso in considerazione il fine dell'arte, ben lontano dalla mera riproduzione del naturale, la questione interessante è considerare la funzione del soggetto artistico. Nel post precedente (Georg Wilhelm Friedrich Hegel: quale è il fine dell'arte? parte I), si è detto che esiste un elemento, la fantasia ovvero quella libera espressione della creazione. In altre parole, non solo l’arte ha a disposizione le forme della natura, ma soprattutto può modellarle, attraverso la fantasia, in infinite e inesauribili produzioni proprie.
Quello che si propone di fare all'interno di questo post è di considerare proprio questa componente "fantastica" e "creatrice" (Il bello artistico o l’ideale. L’artista, 3.C in Estetica).
La soggettività creatrice
L’opera d’arte, poiché scaturisce dallo spirito, ha bisogno di un’attività soggettiva producente, per essere compresa e fuoriuscire. Questa attività è la fantasia dell’artista che si configura nella soggettività creatrice, nel genio e nel talento.
La fantasia è quella facoltà artistica attiva, da non confondersi con l’immaginazione, che crea e coglie la realtà e le sue forme, che andranno a sollecitare lo spirito grazie all’udito e alla vista, per poi diventare familiare con l’interno dell’uomo e con le sue passioni. Oltre a cogliere la realtà esterna e interna, deve anche avere una componente razionale in modo tale che la riflessione dell’uomo possa raggiungere coscienza di ciò che è in lui.Con questo sentimento, l’artista fa della sua materia e della sua configurazione il suo Io più intimo, la proprietà più interna di sé come soggetto.
L’attività della fantasia e dell’esecuzione tecnica si traducono in ispirazione che si accende a un determinato contenuto, dandogli forma, sia nell’interno soggettivo sia nell’esecuzione oggettiva dell’opera d’arte. L’ispirazione proviene da un particolare atteggiamento dell’artista quando questo entra in diretto rapporto con la materia già data e, una volta sollecitato da un pretesto esterno, questo rapporto dall’essere interesse diventa oggetto vivo in sé.
Il talento e il genio
Ci sono, inoltre, certe capacità particolari, come il talento e il genio utili a raggiungere il fine dell’arte (L’oggettività della rappresentazione in Il bello artistico o l’ideale. L’artista, 3.C.2 p. 324):
è proprio di abbandonare sia il contenuto che il modo di apparire del quotidiano, e di trarre dall’interno elaborandone la sua vera forma esterna solo ciò che è in sé e per sé razionale, mediante un’attività spirituale
Bisogna precisare, però, che se per Schelling il genio è la suprema forma del sapere in grado di cogliere l’Assoluto come unità indifferenziata di natura e spirito, in Hegel queste facoltà sono “solo” soggettive. Il talento è una facoltà particolare (il talento nel suonare il violino, oppure il talento per il canto, ecc.) ed è per questo che può portare solo alla bravura in quel campo. Per essere perfetta, necessita di quelle capacità che solo il genio possiede e di quella predisposizione innata che una persona sensibile ha. Il genio possiede quella naturalità, quella facilità della produzione interna ed esterna. Rimane, però, la convinzione che qualsiasi persona, talentuosa o meno, necessiti dello studio.
Conclusioni prime
In una tale, ampia e complessa, specificazione del fine dell’arte e del fare artistico, poco spazio ha l’imitazione come attività pratica perché non creatrice e non originale. Non bisogna seguire solo una serie di regole di genere e di stile, ma lasciarsi all’ispirazione soggettiva che, invece, di abbandonare l’uomo alla semplice maniera, coglie la materia in sé e per sé razionale, partendo dall’interno della soggettività artistica. L’originalità è come una potenza in sé, potenza intima del pensiero e della volontà soggettiva per rappresentare il suo vero Io secondo verità. L’arte come categoria dello spirito deve aspirare alla perfetta compenetrazione tra interiorità ed esteriorità, come fu espressa dall’arte classica.
Nessun commento:
Posta un commento