Ed arrivò il tempo di dedicarsi finalmente a Hegel.
Prendendo in considerazione quanto detto nei post precedenti, a proposito di Fichte e di Schelling, e ricordando che all'interno di questa categoria storico-culturale l’istanza creativa dell’arte prevale a discapito del principio d’imitazione, quello che si propone di fare è considerare il testo Estetica (Einaudi, 1972) e capire:
- come mai l’imitazione della natura non debba essere considerata come il fine dell’arte (o, comunque, se lo si ritiene un fine, lo è in modo secondario);
- quale è il fine dell’arte e dell’artista.
Si precisa che i paragrafi presi in considerazione sono i seguenti:
- Bello naturale e bello artistico, I., 1;
- Confutazione di alcune obiezioni contro l’Estetica, I.2;
- Concetto del bello artistico, III;
- Il fine dell'arte, III;
- Il bello artistico o l’ideale. L’artista, 3.C;
- L'oggettività della rappresentazione in Il bello artistico o l’ideale. L’artista.
Il bello artistico e il suo fine
Il punto di partenza non può che essere la differenziazione tra il bello naturale e il bello artistico.
Hegel afferma che la bellezza artistica è quella bellezza aperta e generata dallo spirito grazie alle sue predisposizioni più elevate rispetto a quelle della natura e dei suoi fenomeni. La spiegazione di questa superiorità consiste nel fatto che qualsiasi forma d’idea e di pensiero che nasca dallo spirito dell’uomo è sicuramente più elevata, rispetto al qualsiasi prodotto della natura, dal momento che in esso è sempre presente spiritualità e libertà. Insomma la superiorità dello spirito e della sua bellezza artistica di fronte alla natura è da imputare al fatto che lo spirito è il vero, è “quel che tutto abbraccia, cosicché ogni bello è veramente bello, solo in quanto partecipe di questa superiorità” (p. 7).
A questa superiorità, Hegel aggiunge un altro elemento all’operato artistico, ovvero la fantasia da intendersi come la libera espressione della creazione; non solo l’arte ha a disposizione le forme della natura, ma soprattutto può modellarle, attraverso la fantasia, in infinite e inesauribili produzioni proprie (p. 10):
In questa smisurata pienezza della fantasia e dei suoi liberi prodotti sembra che il pensiero debba perdere l’ardire di porsi compiutamente di fronte tali prodotti, di giudicarli e inserirli nelle sue formule universali
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