domenica 29 maggio 2011

Neoplatonismo e Aristotelismo, parte II

GIORDANO BRUNO
Nel De Monade (1591), Giordano Bruno riprende pienamente quella che Platone aveva definito come la divina follia che altro non era che lo spirito dell’artista ispirato da Dio. Utilizza il termine “eroico furore”. Questo sarebbe necessario perché l’oggetto della visione è la stessa vita dell’universo, che è senza fine, e dunque la sua verità non può essere colta che nel reciproco rispecchiarsi delle forme (il bene, l’intelletto, l’amore e la bellezza) in cui finito e infinito cessano di apparire come separati.

In altre parole, l’eroico furore è la traduzione naturalistica del concetto platonico di amore, in quanto mostra come l’uomo “arso d’amore”, ma non pago dell’unione carnale con la donna e della contemplazione della bellezza, vada in cerca dell’infinito, che solo può appagare le sue brame, innalzandolo al di sopra dei “bassi furori” che lo tenevano incatenato alle cose finito. Si genera così una copula d’amore fra lui e la natura.

E’ uno sforzo eroico perché l’uomo così facendo va al di là di certi limiti terreni e giunge in una sorta di sovrumana immedesimazione con il processo cosmico per cui l’Universo si dispiega nelle cose e le cose si risolvono nell’Universo.

Vorrei, inoltre, riportare una frase del testo di Bruno Spacco della bestia trionfante in Dialoghi Italiani a cura di G. Gentile, Sansoni, 1958, p. 732:

E soggiunse che gli dei avevano donato all’uomo l’intelletto e la mani, e l’avevano fatto simile a loro, donandogli facoltà sopra gli altri animali.

Insomma, per Bruno l’uomo è azione e contemplazione: l’uomo, contemplando la forza creatrice di Dio, diventa suo emulo e, spinto dal suo bisogno, si industria sempre di più per far progredire la scienza e la tecnica. 

TOMMASO CAMPANELLA
Tommaso Campanella e la sua Poetica sono un altro importante esempio: la poesia, per l’autore, è lode a Dio ed è mezzo per conoscerlo.

Di formazione telesiana ed è bene rivederla un secondo. Telesio presenta una visione della natura totalmente opposta a quella aristotelica e scolastica medievale, accusati di astrattismo. La natura per Telesio è un mondo a sé, separato dall’uomo, che si regge su propri principi e che può essere spiegato soltanto sulla base della loro comprensione, escludendo ogni ricorso alle forze metafisiche (che sono oltre la natura stessa). Ogni spiegazione dei fenomeni della natura deve partire dall’osservazione fisica, necessaria a comprendere veramente il mondo fisico.

Campanella aderisce al naturalismo di Telesio (natura autonoma e oggettiva) però la propone con una rilettura di Ficino: le leggi della natura devono essere spiegate grazie all’azione creatrice di Dio, dal quale deriva tutto. 

Vorrei ancora dare alcune precisazioni sul concetto di naturalismo. Non solo si vuole dare importanza alla natura e all’appartenenza dell’uomo ad essa, ma soprattutto si vede l’uomo come essere terrestre con un compito preciso, ovvero quello di comprendere e trasformare la natura per rendere la vita umana sempre più progredita. Essa è, dunque, l’interlocutrice privilegiata dell’uomo-artefice e artigiano: tale considerazione costituisce l’immediato presupposto della scienza moderna che si svilupperà nel Seicento ad opera di Galileo, Copernico, Keplero, Harvey, Cartesio e Newton, i quali perfezioneranno questo approccio pseudo-sperimentale e useranno la matematica come strumento essenziale e privilegiato di comprensione del mondo fisico.

L’ARISTOTELISMO
Se è nelle accademie fiorentine che si colloca il neoplatonismo, è invece nell’Università di Padova che si studia Aristotele. In questa università, infatti, fin dal XIII secolo si era cominciato a studiare Aristotele, sulla base del commento del filosofo arabo Averroè.
Nel Quattrocento e Cinquecento, l’aristotelismo ebbe il merito di aver difeso i diritti della ragione indagatrice e di aver elaborato il concetto di ordine naturale e immutabile, fondato sulla catena causale degli eventi, che rappresenta uno dei presupposti essenziali della nascita della scienza moderna.

Il rapporto tra aristotelismo rinascimentale e scienza moderna non deve essere visto in termine di contrapposizione. Infatti, l’aristotelismo da una parte favorì lo sviluppo dell’indagine scientifica, con la sua fiducia nella ragione e nella ricerca naturalistica; ma dall’altra parte contrastò la nascita della scienza poiché, rimanendo legato agli schemi della Fisica di Aristotele, si ostinò a voler imbrigliare i fenomeni della natura nelle nozioni metafisiche, chiusa alla comprensione del valore della matematica e sei suoi strumenti quantitativi.

Vorrei, inoltre, aggiungere ulteriori spunti.
In primo luogo, con il Rinascimento La Poetica di Aristotele viene riletta e re-interpretata con un forte rinnovamento di studi condotti con una cura filologica ignota ai medievali. Da questi commenti, appare evidente una domanda: il fine dell’arte è quello di delectare  o docere? La risposta viene fornita da diversi autori.

LODOVICO CASTELVETRO
Nella sua Poetica d’Aristotele volgarizzata ed esposta (1576) scrive che la poesia è stata trovata solamente per dilettare e ricreare gli animi del popolo: la poesia, che è imitazione, è fonte di quel piacere che accompagna l’attività mimetica in quanto tale sia che si imitino cose belle (piacere diretto), sia che si imitino cose brutte (piacere indiretto).

ALESSANDRO PICCOLIMINI
Nelle sue Annotazioni sul libro della Poetica (1575) afferma che si deve ricordare che tanti eccellentissimi poeti antichi e moderni hanno molto studiato avendo come punto di riferimento esempi di coloro che “come immagini e ritratti di somme virtù e di sommi vizi ci ponessero con le loro imitazioni innanti, noi non avessimo a restare instrutti, ammaestrati e ben istituiti”.

GIUSEPPE SCALIGERO
Nella Poetica (1561) tenta di conciliare l’una e l’altra tesi definendo l’imitazione poetica come “fine medio a quel fine ultimo che è l’insegnare con diletto”.




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