Nel Medioevo non esiste alcun controllo dell’autore sul testo prodotto e non esistono i diritti di autore. I manoscritti immessi in circolazione, spesso sono affidati ai copisti che potevano alterarli. Inoltre, lo scambio tra oralità e scrittura, favoriva veri e propri rifacimenti che si allontanavano dall’originale e la diffusione di produzione anonime: ecco la storia dei romanzi cavallereschi e di una serie di romanzi che hanno avuto molta popolarità, come quello di Tristano e Isotta.
Le lezioni dei gradi filosofi e teologi sono trascritte dai loro studenti, di molti autori si conosce il testo, ma non l’autore (Chauser conosce le opere di Boccaccio, ma non conosce Boccaccio e ne attribuisce i testi ad altri autori), molti testi dell’antichità arrivano sotto nomi non corretti e altre volte il falso è creato appositamente (Donazione di Costantino, invenzione della Chiesa per giustificare il proprio potere temporale).
Continuiamo un secondo la storia del libro. Nel Trecento, il sistema di produzione libraria non cambia rispetto al secolo precedente, anzi si amplia il consumo del libro, grazie ai minori costi della carta. La crescita del pubblico impone una diversificazione della forma-libro e dei modelli di scrittura in rapporto al suo uso sociale. Al primo posto, per valore e prestigio, è ancora il grande libro da banco degli studi universitari, scritto in latino in grafia gotica.
Ma la grande novità di questo periodo è la scrittura in volgare: spesso in gotica testuale, di formato medio, senza commento, elegantemente miniato per le corti, mentre in formato medio, scritto in corsivo, senza decorazione per il consumatore medio.
PETRARCA E LA SCRITTURA
Questa situazione continua per tutto il Medioevo e continuerà sempre, ma c’è un autore che proprio non tollera questa pratica e anticiperà la nascita della filologia umanistica: Petrarca.
La produzione del libro tuttavia non trovò mai un inserimento nel sistema delle arti: di qui la mancanza di controllo sulla qualità dl prodotto, sulla professionalità degli scribi e la casualità del commercio dei libri. Un censimento fra gli scribi dei testi in volgare rivela 35 nomi per tutto il Trecento, di cui solo due erano professionisti.
Il primo a insorgere fu, come abbiamo già accennato, Petrarca perché il problema centrale è che tutto questo sistema potrebbe travisare i testi al punto tale che lo stesso autore quasi potrebbe non riconoscere il testo che ha scritto.
Petrarca pone il problema del tutto nuovo del rapporto tra autore-testo e testo-pubblico. I testi dovevano essere filologicamente corretti e rispecchiare in modo chiaro e preciso il pensiero dell’autore: esiste dunque il libro d’autore, scritto dal creatore del testo. Come mai così tanta importanza all’autore creatore del testo? Perché per Petrarca, la scrittura è un mestiere, serio!
Se lo strumento è soltanto un simbolo, l’opera materiale che con esso la mano compie è invece un prodotto visibile e giudicabile, nobilitato da una sua funzione precisa: l’espressione e la trasmissione del pensiero. […] Nobile era dunque per il Petrarca la funzione dello scrivere, in quanto strettamente collegata e quasi identificata con l’attività creatrice dell’uomo di lettere […] testi filologicamente corretti, destinati al nuovo pubblico, alla ristretta cerchia di letterati che gli si erano raccolti intorno. […] da una parte il libro prodotto in modo quasi meccanico da uno sperimentato sistema artigianale ed offerto, come strumento di una cultrira professionale e tecnica, ad un relativamente largo pubblico; dall’altra il libro come disinereresato prodotto letterario perfetto in ogni sua parte e volto al godimento ed alla educazione di una ristretta élite di uomini colti
(Libro e scrittura in Francesco Petrarca in Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento. Guida storica e critica, Petrucci, Laterza, Bari, 1979, pp. 10–14)
Naturalmente altro elemento di questa riforma era la limitazione della diffusione dei manoscritti a un pubblico di letterati estremamente colti; elemento che non ebbe molto successo.
PETRARCA E L'IMPORTANZA DELL'IO
Con Petrarca, ma già in Dante, il soggetto lirico trova una sua precisa collocazione: acquista concretezza e verità psicologica, venendo a contatto con la persona dell’autore e si definisce come istituto centrale della lirica moderna. I presupposti dell’autenticità psicologico-affettiva e dell’immediatezza sentimentale nascono con Petrarca: estraneo alla politica, l’autore è capace di valorizzare una sfera di competenza (interiorità) presentata come valore superiore, assoluto e autonomo da condizionamenti sociali e politici.
L’autenticità dell’io si basa, dunque, su una stilizzazione istituzionale: il poeta non è più aggregante di gruppi sociali, come poteva esserlo nella civiltà comunale, e ciò che rimane di questa figura è il suo io. Un qualcosa di personale, individuale, socialmente separato e non funziona per la politica.
PETRARCA E IL PETRARCHISMO
Grande lettore e scopritore di testi latini, Petrarca volle ispirarsi, nella sua visione del mondo e nella scrittura, agli esempi dell’antichità classica (è il suo cosiddetto umanesimo). La produzione in latino, che gli aveva dato suito fama e onori, finì però dimenticata dopo la sua morte. L’ultima edizione completa delle sue opere latine risale alla fine del Cinquecento (Basilea, 1851); ha, invece, avuto una durata immensa il Canzoniere, scritto in volgare.
L’imitazione di Petrarca, il petrarchismo, è un fenomeno culturale di vaste dimensione, che ha caratterizzato per parecchi secoli gli sviluppi della lirica in Italia e in Europa. E’ una componente importante della stria della cultura occidentale. Nel Cinquecento, il linguaggio di Petrarca fu elevato a norma e codificato come lingua per eccellenza della poesia italiana (Pietro Bembo, 1525, Le preso della volgar lingua). Tra i moderni e nel Novecento hanno continuato a ispirarsi a Petrarca tutti quei poeti che hanno visto nella poesia un esercizio supremo di stile e che hanno voluto abbinare l’eleganza della forma ai temi della soggettività e dell’analisi interiore.
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