lunedì 30 maggio 2011

Esempio: Petrarca nel Quattrocento e Cinquecento

Tra il Quattrocento e il Cinquecenti, le pratiche che erano state viste per il Medioevo (il commento, la citazione e la glossa) sono riconosciute e codificate rigidamente nel canone dell’imitazione.

Gli autori e le opere del passato divengono dei modelli da imitare quanto più fedelmente possibile, la creazione viene rigidamente imbrigliata nel sistema dei generi e ogni genere ha le sue leggi precise (contenuto, stile, materia, organizzazione testuale). Al massimo si discute se rifarsi a un unico autore come modello supremo o da più autori.

Esemplare è la canonizzazione di Petrarca, soprattutto grazie all’opera di Pietro Bembo (1470 – 1547). Il Canzoniere diventò nel Cinquecento il modello per eccellenza della lirica volgare, non solo dal punto di vista formale (linguistico, stilistico e metrico), ma anche tematico e ideologico (repertorio di temi e situazioni, come ideale romanzo di formazione e ascesa spirituale, come esperienza amorosa altamente sublimata).

Ecco alcuni versi del Bembo:

Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura,
ch’a l’aura su la neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che ‘l sole,
da far giorno seren la notte oscura,
riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond’escono parole
si dolci, ch’altro ben l’alma non vòle,
man d’avorio, che i cor distringe e fura,
cantar, che sembra d’armonia divina,
senno maturo a la più verde etade,
leggiadria non veduta unqua fra noi,
giunta a somma beltà somma onestade,
fur l’esca del mio foco, e sono in voi
grazie, ch’a poche il ciel largo destina.

I particolari del ritratto, la bellezza fisica e quella spirituale, l’aura che evoca Laura sono elementi che ricalcano il Petrarca fino alla citazione finale che nell’autore di riferimento è l’incipit del sonetto.


MODELLO ==> LO SI SEGUE FEDELMENTE E RIGIDAMENTE
MODELLO ==> LO SI SEGUE CAPOVOLGENDOLO E PARODIANDOLO


Ora, nel primo esempio troviamo perfettamente Bembo, mentre nel secondo Francesco Berni (1487 – 1535). In un suo sonetto, l’autore ribalta

Chiome d'argento fine, irte, ed attorte
Senz'arte intorno ad un bel viso d'oro;
Fronte crespa, u' mirando, io mi scoloro,
Dove spunta i suoi strali Amore e Morte;
Occhi di perle vaghi, luci torte
Da ogni obbietto disuguale a loro;
Ciglia di neve; e quelle ond'io m'accoro,
Dita e man dolcemente grosse e corte;
Labbra di latte; bocca ampia, celeste;
Denti d'ebano, rari e pellegrini;
Inaudita, ineffabile armonia;
Costumi alteri e gravi; a voi, divini
Servi d'Amor, palese fo che queste
Son le bellezze de la donna mia.

(L’Intertestualità, di Marina Polacco, Laterza, 1998, Roma – Bari, pp. 15 – 17)

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