Uno dei maggiori studiosi italiani dell’Umanesimo e del Rinascimento, Eugenio Garin, per dare conto delle origini dell’Umanesimo nel pensiero filosofico, cita questa frase di Duns Scoto, vendendovi la “rivendicazione dei valori dell’individuo concreto, nella sua precisa determinazione vivente”:
L’uomo, essendo il legame di tutte le cose naturali, congiunge le cose superiori alle inferiori; in tal modo è medio fra le sostanze puramente naturali e quelle puramente spirituali, contenendo nell’unità dell’essenza un corpo naturalmente perfetto e un’anima soprannaturalmente perfetta; in tal modo, secondo Dionigi, congiunge le più basse delle cose superiori alle più alte delle inferiori.
(Storia delle filosofia italiana, Garin, Einaudi, Torino, 1966, p. 233)
Duns Scoto e il francescano Gugliemo d’Ockham sono due pensatori inglesi che hanno evidenziato con le loto teorie la crisi del pensiero della Scolastica e del tomismo (vale a dire del significato concettuale ispirato all’aristotelismo cristiano di Tommaso). Abbiamo già accennato nei post precedente a una serie di piccole sfumature di grande importanza come l’individualismo, il realismo, la concretezza della materia naturale. La tendenza che si prende a partire dal tardo Duecento e Trecento è quella di un atteggiamento antimetafisico, sostituito da un proto-empirismo in cui le conoscenze per essere tali devono essere verificabili in modo sperimentale ed empirico.
LA CORSA AGLI UNIVERSALI
Tommaso aveva fornito una sistemazione rigorosa dei rapporti tra fede e ragione, distinguendolo ma considerandole operanti e interagenti, entrambe necessarie alla conoscenza razionale del mondo naturale e di quello divino o metafisico. Il problema degli universali veniva risolto in questo modo:
- l’universale si trova in potenza nelle cose;
- quando si astrae l’universale dalle cose mediante l’intelletto, l’universale diventa atto.
La crisi del tomismo porta a un sostanziale disinteresse per l’universale, perché inconoscibile, e a una netta separazione tra fede e ragione. Ne risultano, dunque, valorizzati sia l’individualità del soggetto empirico sia l’oggetto conosciuto empiricamente (ovvero, intuitivamente). Tutto ciò che resta fuori dall’esperienza diretta viene giudicato inconoscibile e non appartiene a un campo della conoscenza razionale, ma della fede. Riporto qui di seguito una frase di Knowles su Ockham (L’evoluzione del pensiero medievale, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 439):
Dio non può essere intuitivamente conosciuto dall’uomo che debba far uso delle sole facoltà naturali e poiché l’intuizione è l’unica forma che debba far uso delle sole facoltà naturali e poiché l’intuizione è l’unica forma di conoscenza autentica, bisogna convenire che Dio non può essere affatto conosciuto da noi. E, dunque, non si può escogitare alcuna prova dimostrativa dell’esistenza di Dio e lo stesso avviene nel caso degli attributi divini: non si può dimostrare nulla di quanto non abbiamo conoscenza diretta e non esiste, dunque, alcuna possibilità di risalire dalle creature a Dio. Dobbiamo accontentarci di quello che di Dio ci dicono la fede e la rivelazione.
Rimanendo su Ockham e ritornando a trattare il tema degli universali, il teorico afferma che: non esiste alcun universale fuori della mente che lo conosce.
Cerchiamo di capire il perché:
- l’approccio a cui Ockham giunge è l’eliminazione di ogni tipo di astrazione del processo gnoseologico questo perché né il processo mentale di astrazione né l’esistenza di una qualsiasi essenza da astrarre ha un’effettiva realtà;
- tutto ciò che è conosciuto è individuale e il processo conoscitivo è intuitivo.
L’universale, dunque, potrebbe essere per Ockham un qualcosa di intra-mentale che si accompagna alla comprensione intuitiva dell’oggetto individuale: un certo oggetto evoca nell’intelletto umano un segno naturale identico per tutti gli uomini. Ogni stirpe o famiglia da, poi, a quel segno un nome e tale nome lo congiungiamo con l’immagine mentale e serve a far richiamare alla mente proprio quell’immagine. L’universale non può essere qualcosa di reale con un’esistenza soggettiva, dovrà, invece, essere un qualcosa di oggettivo, un qualcosa fabbricato dall’intelletto poiché esiste in quanto oggetto del pensiero che corrisponde all’essere che la cosa conosciuta ha di per sé. Knowles riepiloga in questo modo:
In altri termini, l’universale esiste solo perchè concepito o fabbricato dall’intelletto e il termine ossia il nome (cane, rosa ecc.) altro non è che un segno che connettiamo alla nostra intuizione intellettiva e che serve a noi per richiamarla alla mente.
INDIVIDUO, RAGIONE E FEDE
Vorrei un attimo riprendere brevemente il pensiero di Duns Scoto per soffermarmi sul concetto di individuo. Duns Scoto rivaluta, nel momento della conoscenza, l’atto della volontà individuale e, in generale, in opposizione alla Scolastica, accentua il valore e l’importanza del soggetto concreto, restringendo il più possibile lo spazio dell’universale. Soggetto concreto che, come abbiamo già detto, è unione di materialità e di spiritualità, di corpo e di anima.
Il pensiero di Ockham si fonda su un importantissimo punto: la frattura tra fede e ragione. La ragione per conoscere ha bisogno solo dell’esperienza sensibile, cioè del reale. E poiché servendosi della ragione non si può conoscere Dio, la sua esistenza può dipendere solo dalla fede. Con questo ragionamento, Ockham compie una doppia operazione:
- restringe lo spazio della ragione, riducendolo a quello della esperienza e della intuizione sensibile;
- libera la ragione dai dogmi della fede e le permette di studiare senza pregiudizi i fenomeni naturali e di sperimentarne le leggi in totale autonomia da vincoli metafisici e religiosi.
Questo atteggiamento laico e sperimentale ha un notevole significato storico:
- distrugge la visione unitaria del mondo che era tipica del pensiero medievale (idea di armonia tra fede e ragione);
- esercita una notevole influenza nel campo delle scienze naturali, della logica e della fisica, dando a queste discipline una spinta liberatrice. Importante è l’influenza su Nicola Oresme, astronomo, che studiò il rapporto tra Terra e i pianeti, sostenendo la tesi del moto rotatorio della Terra, ponendo in dubbio il geocentrismo tolemaico;
- presenta punti di convergenza con la ricerca preumanistica volta a trovare nel mondo classico un modello di conoscenza libera da condizionamenti fideistici.
BOCCACCIO E OCKHAM
Secondo Muscetta, la crisi del tomismo e della Scolastica lascia un vuoto, di cui prende atto l’occamismo e questo venne probabilmente assimilato anche da Boccaccio. In questo vuoto, criterio di verità diventa un razionalismo empirico, attraverso cui è possibile giudicare solo caso per caso. Non è più la ragione sintetica, universale e totalizzante che comprendeva il mondo di Dio e quello degli uomini, ma la ragione diventa analitica, un metodo, non visione del mondo, ma strumento di analisi!
Il lettore del Decameron non è più guidato nelle scelte morali (si legga la Novella di Cimone), ma questo ha libertà di interpretazione e riflessione. Si assiste a un vario gioco prospettico della storia: la narrazione, la cornice in cui si narra e la super-cornice deducibile dalle intenzioni dell’autore. Il punto di compromesso interpretativo è mobile e vario, non stabilito una volta per tutte, ma dipende dalle circostanze, dalla fortuna, dalla natura, dall’ingegno e dalle singole esperienze. Di qui il carattere relativo di questa morale non normativa, ma che si limita a delineare un ambito problematico e a suggerire alcune direzioni di soluzione. E per il resto, si affida all’interpretazione libera del soggetto.